Il ricorso per Cassazione per l’omesso esame di un fatto decisivo
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 3591 del 24.02.2016 la Corte di Cassazione ribadisce che al ricorso per cassazione notificato dopo l’11.09.2012 deve applicarsi l’art.360, co.1, nella nuova formulazione introdotta dall’art.54, co.1, lett. b) D.L. n.83/12, che ha sostituito il n. 5 del co.1 dell’art.360 c.p.c., circoscrivendo il vizio di legittimità alla sola omissione di un fatto controverso (“che è stato oggetto di discussione fra le parti”) ritualmente allegato e dimostrato in giudizio, tale per cui se fosse stato invece tenuto in debito conto dal giudice, avrebbe comportato con certezza un diverso esito della controversia. I Supremi Giudici, richiamando sul punto la sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 8053/2014, hanno confermato che la nuova norma sul giudizio di cassazione è applicabile anche alle controversie tributarie, atteso che la disposizione di cui all’art.54, co.3-bis D.L. n.83/12, che sottrae all’applicazione “delle disposizioni del presente articolo” il processo tributario, deve intendersi riferita in via esclusiva al solo giudizio di merito avanti le commissioni tributarie, del quale intende preservare la specialità della disciplina processuale, ma non si estende anche al giudizio avanti la Corte di Cassazione che il Legislatore ha inteso mantenere nella sua unitarietà.
La Cassazione, chiarendo che sono, quindi, inammissibili motivi di impugnazione con i quali venga censurata l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione della sentenza di appello, specifica che, sulla base della nuova norma, l’ambito di operatività del vizio di legittimità di cui al n. 5 del co.1 dell’art.360 c.p.c. relega il vizio di motivazione al “minimo costituzionale” individuato dall’art.111 della Costituzione, esaurendosi tale fattispecie in quelle figure (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, motivazione apparente, manifesta ed irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione ex art.132 c.p.c. n. 4 e che determinano la nullità della sentenza.
La riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione della sentenza in sede di giudizio di legittimità comporta che tale vizio potrà essere censurato nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile, sempre che il vizio risulti dal testo della decisione, così come chiarito dalle SS.UU. della Cassazione nella sentenza n. 5888/1992, che con riferimento al testo del n. 5) dell’art.360 c.p.c., originariamente previsto dal codice di rito (oggi riproposto con la riforma del 2012), hanno precisato che il vizio logico, la lacuna o l’aporia della motivazione devono essere talmente gravi da rendere apparente il supporto argomentativo, devono risultare direttamente dal testo della sentenza e devono essere comunque attinenti ad una quaestio facti, considerato che in ordine alla quaestio iuris non è neppure prospettabile un vizio di motivazione (se si contesta la motivazione in diritto e cioè si censura come è motivata una interpretazione della legge, il vizio deducibile può essere solo che si è interpretata male, e quindi violata, la legge ai sensi dell’art.360, co.1, n. 3 c.p.c.).
Il nuovo testo del n. 5) dell’articolo 360 c.p.c. non contiene più alcun riferimento alla motivazione della sentenza i cui vizi non sono più sindacabili in relazione a tale norma, che concerne, invece, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. In altri termini, la Corte di Cassazione chiarisce che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art.360 c.p.c. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Viene, inoltre, precisato che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
In sostanza in Cassazione non è possibile lamentarsi del fatto che il giudice non ha considerato certe prove circa il fatto controverso (ad esempio non si sono valutate le prove contrarie) ma solo che il fatto non è stato considerato.
Peraltro il ricorrente dovrà prestare particolare attenzione alla formulazione del motivo di ricorso, dal momento che, in ottemperanza del principio dell’autosufficienza del ricorso previsto dagli artt.366, co.1, n. 4 e 369, co.2, n. 4 c.p.c., sarà necessario indicare quale è il fatto storico il cui esame è stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali) da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto è stato oggetto di discussione fra le parti e la decisività del fatto stesso.