24 Febbraio 2015

Il risanamento passa in banca, nel bene o nel male

di Claudio Ceradini
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Nei precedenti numeri della nostra rubrica settimanale dedicata alla crisi di impresa abbiamo analizzato le prime fasi della prevenzione e gestione del dissesto finanziario: l’analisi di mercato, l’analisi del conto economico previsionale e l’individuazione del fabbisogno finanziario. Oggi cercheremo di comprendere gli aspetti cardine della relazione tra debitore e terzi, in particolare le banche.


 

Martedì scorso abbiamo fatto di conto, capendo di avere di fronte un duplice problema. Pur con tutte le ipotesi del caso, mancano comunque all’appello parecchi soldi per rendere il piano realizzabile (800) e, al momento, non si sa dove trovarli. In più si è compreso che un fattore di successo del piano, il tempo, scarseggia, così come l’ossigeno finanziario, e si pone la questione di come ottenerne una quantità minima vitale “difendendo”, dicevamo, “il fortino”.

La copertura del fabbisogno finanziario, secondo tassello indispensabile a qualsiasi piano di risanamento che abbia speranza di realizzarsi, trova soluzione del rapporto con i creditori ed i soci. I termini della relazione sono spesso complessi e delicati, tecnicamente e talvolta anche psicologicamente, in un momento in cui l’imprenditore vive un personale fallimento ed i creditori attimi che, spesso, somigliano molto al panico.

Ma tant’è, se vogliamo occuparci di risanamento, anche da qui dobbiamo passare.

E quindi attrezziamoci, cerchiamo di comprendere quali siano gli aspetti cardine della relazione tra debitore e terzi, creditori o soci. Studiato il terreno di scontro, il confronto sarà meno cruento e più produttivo, speriamo.

Iniziamo con le banche, interlocutore onnipresente in questi casi, così come altri, per la verità.

L’utilizzo dei fidi è apparso sovrabbondante, con sconfini ampi, di cui peraltro non conosciamo l’andamento nel tempo.

 

Utilizzo affidamenti:

Anticipo fatture / SBF

3.500

Cassa

200

Totale

3.700

Fidi

Anticipo fatture / SBF

3.000

Cassa

100

Totale

3.100

 

Rientrare nei fidi significa impegnare finanza per 600 (3.700 – 3.100), per ben che vada. Rispettare gli impegni a scadenza significa mettere in conto altri 200, pari alle quote capitale dei mutui.

Se potessimo ipotizzare uno scenario diverso, molti problemi potrebbero trovare soluzione. Immaginiamo che i fidi possano essere dimensionati al loro concreto utilizzo, ed anzi, disponendo la società di crediti verso clienti per un importo significativo (3.800, richiamando l’articolo dello scorso martedì) che l’affidamento per anticipo fatture / SBF possa essere portato addirittura a 3.700. D’incanto non sarebbe più necessario utilizzare 600 per rientrare nei fidi (riducendosi corrispondentemente il fabbisogno) e si libererebbe nuova finanza per 200. In sostanza troverebbe soluzione la quota di copertura che fino alla settimana scorsa creava un problema.

E’ un’idea totalmente balzana, o un ipotesi in fondo percorribile?

In realtà dipende solo dal debitore e dalle modalità con cui nel recente passato si è rapportato con il sistema del credito.

Le banche, come qualsiasi entità che faccia impresa, giudicano i loro clienti dalla loro affidabilità, ed accettano di lavorarci dosando rischio e ritorno economico. E’ un mestiere difficile oggi, quello del banchiere, specie in una realtà economica come quella italiana, costituita da moltissime iniziative imprenditoriali di dimensioni molto piccole. Gestire molti clienti significa dover gestire una alta frammentazione, con notevoli difficoltà di controllo, e con il conseguente obbligo, prima ancora gestionale che normativo, di utilizzare meccanismi di valutazione automatici. Per questo nasce il rating, che misura, o dovrebbe, la PD (Probabilità di Default), obbligando la banca ad accantonare a patrimonio quote dei propri impieghi commisurate alla qualità dei clienti affidati, e quindi al loro rating, nel rispetto degli obblighi che gli Accordi di Basilea, che si susseguono come film di successo (I, II, III), impongono. La banca affiderà volentieri (si fa per dire) un cliente con un buon rating, tenderà a ridurre la esposizione alzando i tassi se il rating cala e vorrà uscire possibilmente indenne di fronte al consolidarsi del trend negativo.

E quindi il punto è: l’ipotesi di aumentare i fidi in copertura del progetto di risanamento è realistica, se “il toro viene domato” prima che il rating peggiori, poiché solo in questo caso possiamo nutrire la speranza che il sistema del credito si dimostri disponibile ad ascoltare una proposta seria (perché bisogna anche saper chiedere, le cose giuste al momento giusto). Dopo, diventerebbe una chimera, i soldi per la copertura andranno cercarti altrove e, probabilmente, in misura maggiore, perché bisognerà procurarsi anche quelli che serviranno per finanziare la riduzione progressiva degli affidamenti.

E se non si trovano, come spesso capita, divengono necessari quegli strumenti, di cui avremo modo di occuparci, che consentono la falcidia dei debiti che l’imprenditore non è più in grado di pagare, al prezzo di una procedura comunque invasiva e al prezzo di difficoltà serie.

Di nuovo, il punto diventa quindi cosa consigliare all’imprenditore in crisi per difendere il rating e, con lui, il famoso fortino. Nelle piccole e medie realtà, la qualità del bilancio di esercizio e dei piani economici e finanziari conta relativamente poco. Il rating si fa sull’andamentale, sulla capacità che l’imprenditore dimostra in Centrale Rischi di utilizzare correttamente i propri affidamenti (sconfini, scaduti, insoluti, etc.). Per consigliare l’imprenditore dobbiamo entrare in un campo non tradizionalmente nostro, quello delle norme di vigilanza, in particolare della Circolare n. 139/1991 e della Circolare n. 272/2008 di Banca d’Italia, che disciplinano il funzionamento della Centrale Rischi e della Matrice dei Conti, e comprendere quali siano i presupposti, oggettivi e soggettivi, delle segnalazioni pregiudizievoli. Scopriremo un mondo, tecnico, in cui non è facile muoversi, ma che ci consente di indicare modalità di gestione della finanza d’azienda, talvolta anche poco diverse dalle abitudini consolidate, che permettono di conservare il proprio status, e difenderlo, anche nei momenti difficili.

Certo se la questione si pone tardi, se il toro, più che prenderlo per le corna, lo scopriamo già accasciato e morente, a quel punto c’è poco da difendere e l’attenzione si sposta immediatamente su altri strumenti.

Entreremo più nel dettaglio martedì, quando cominceremo a parlare il “banchese”.