Il rischio è mobile
di Michele D’AgnoloUna delle attività più dispendiose e inutili che si svolgono all’interno degli studi professionali è rappresentata dai controlli.
I controlli, intendiamoci, quando sono appropriati e proporzionati al rischio effettivo, sono una forma preziosissima di dominio del rischio professionale, e in particolare del rischio tecnico e di quello di processo. Il problema è che spesso i nostri controlli sono troppo costosi o non sono appropriati.
Ogni forma di verifica, rifacimento o riscontro è, per sua natura, un doppione e pertanto incide negativamente sul costo delle prestazioni e, di riflesso, sulla marginalità delle stesse.
In un momento in cui è sostanzialmente impossibile scaricare maggiori costi sulla clientela, siamo di conseguenza spinti a rivedere il sistema dei controlli all’interno dello studio per verificare se si possano ritenere efficaci ed efficienti, tagliando e sostituendo tutto ciò che non lo è.
Un controllo si può dire efficace quando intercetta tutte le potenziali non conformità, è efficiente quando lo fa al minor costo possibile.
A tutti i commercialisti piacerebbe far uscire dallo studio dei bilanci europei elaborati e calcolati in maniera indipendente da due consulenti diversi e poi riconciliati, in quanto il rischio di errore nei confronti del cliente sarebbe grandemente ridotto, ma il costo al quale la prestazione verrebbe venduta dovrebbe essere il doppio di quello attuale, cosa che nessun cliente sarebbe disposto ad accettare.
I controlli all’interno dello studio sono raramente proceduralizzati. Ogni persona procede ai controlli sulla base della propria esperienza e delle proprie abitudini. Di modo che se abbiamo cinque contabili all’interno dello studio possiamo essere praticamente certi che ritroveremo cinque modi diversi di svolgerli e di documentarli.
I controlli poi sono spesso variabili a seconda del tempo a disposizione e a seconda della stanchezza di chi li esegue. Se dobbiamo controllare decine di dichiarativi, i primi saranno controllati in ogni dettaglio, gli ultimi passeranno con molta maggiore nonchalance.
Alle volte, è un problema di microprocessi. Maria spunta gli estratti conto velocemente, con la matita, mentre Gianni striscia tutto il rigo con l’evidenziatore. Mentre sottolinea, ad ogni tratto il suo cervello riposa per un paio di secondi, sprecando nel frattempo litri di evidenziatore di cui peraltro esala i vapori allucinogeni.
In altri casi, è un problema di tecnologia. Davide, ad esempio, ha scoperto che esiste un software che riconcilia automaticamente il conto bancario con il file dell’home banking e non spunta più.
Spesso i controlli sono figli di esperienze negative, e poco importa se nel frattempo i problemi che ne avevano generato il fabbisogno si sono risolti. E così siccome 20 anni fa il software aveva sbagliato una somma che risultava diversa in video e in stampa, da quel giorno la signora Nilde controlla diligentemente con la calcolatrice le somme di ogni cedolino prodotto automaticamente dal sistema. Non rinvenendo, guarda caso, nulla di strano.
Negli ultimi vent’anni non solo è cambiato il software, la piattaforma che lo ospita, l’hardware, la rete, la stampante, ma i controlli interni alla procedura si sono fatti più stringenti e quindi il lavoro di Nilde è da tempo completamente inutile. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio?!? Ma non diteglielo, nemmeno con il massimo del tatto possibile, perché altrimenti si sentirà offesa nel profondo della propria persona e della propria professionalità.
Altre volte i controlli sono sproporzionati rispetto al rischio effettivo. Gianni è un contabile esperto, dieci anni di esperienza. Ogni anno imputa più di trentamila movimenti di contabilità. Eppure quando deve chiudere la liquidazione dell’Iva spunta le fatture una ad una come uno studente del primo anno di ragioneria.
Esaminando il suo timesheet, scopriamo che le attività di controllo hanno portato via molte ore annue ma di fatto il rischio sarebbe stato di un paio di fatture all’anno imputate due volte o trascurate. Prescindendo da ogni valutazione di carattere deontologico e guardandola solo dal punto di vista imprenditoriale, ne vale la pena?
Un approccio che incorpori anche la deontologia consisterebbe nel valutare il perché le fatture in questione sono sfuggite. Magari è sufficiente fare una conta fisica delle pezze anziché una spunta vera e propria, in questo modo si risparmia tempo senza eseguire l’intero controllo, oppure si può stabilire di fare dei controlli mirati sulle contabilità più a rischio o sui contabili più distratti o solo su fatture simili.
Un primo insegnamento da trarre dagli episodi descritti è che la revisione delle modalità di controllo deve essere dinamica, cioè almeno una volta l’anno bisogna rivalutare i controlli.
Un altro problema dei controlli negli studi è che spesso non c’è alcun incentivo o disincentivo nel caso di errori e soprattutto nel caso di errori persistenti.
Se Mario sbaglia il codice fiscale della dichiarazione lo mettiamo a posto noi che la correggiamo, facciamo prima che a dirglielo. E così in breve colui che elabora il dichiarativo si adagia. Tanto sa che ci sarà un controllo successivo, tra l’altro per lui sostanzialmente senza conseguenze. Provate in fabbrica, in catena di montaggio, a fare un numero di errori superiori allo scarto medio tollerato e vedrete quanto amore trascenderà dalle parole del vostro capoturno.
Chi fa tutto giusto al primo colpo, invece, per premio non riceve neanche un ringraziamento, anzi, spesso riceve dell’altro lavoro. E più uno è insicuro e più sembra a prima vista scrupoloso, mentre in realtà sta viaggiando con il freno a mano sempre tirato.
In uno studio del triveneto, qualche anno fa, fu fatto uno straordinario esperimento. Le persone furono messe a lavorare senza rete di protezione, sapendo che i dichiarativi non sarebbero stati più controllati. In modo del tutto inatteso, lo stratagemma ha fortemente diminuito il numero e la gravità delle non conformità rispetto a quelle che sfuggivano perfino ai doppi controlli. Un po’ di pepe sembra dunque far bene ai nostri addetti.
Spesso, dunque, i controlli si possono sostituire con meno costose attività di prevenzione e di formazione, addestramento e responsabilizzazione dei clienti e degli addetti, delle quali attività occorrerà però valutare l’efficacia.
Occorre anche valutare quali sono le aree di attività maggiormente rischiose e concentrare i controlli. Oggi i rischi maggiori per gli studi commerciali stanno molto probabilmente nel rispetto delle scadenze, spesso sparse nelle agende o nelle menti di ognuno e nel meccanismo delle compensazioni di imposta.
Alle volte, infine, non è chiaro il livello di supervisione da esercitare. Dammi un occhiata alla perizia può voler dire tutto e niente, occorre specificare se debbo solo controllare la logicità del testo, rifare i conteggi, verificare la correlazione dei calcoli con i documenti di base o cos’altro. Altrimenti, alla prima non conformità equivoci e accuse reciproche non mancheranno.
E per concludere, come non dar ragione a Gianfranco Barbieri, che nel suo articolo di Vision Pro di settembre 2014, dedicato ad approfondire il sistema dei controlli, ha citato il noto pilota di formula 1 Mario Andretti, secondo il quale “se hai tutto sotto controllo, vuol dir che stai andando troppo piano”.