Il socio unico della fallita non può impugnare i provvedimenti del giudice delegato
di Emanuel MonzeglioNell’ambito delle procedure concorsuali, non sussiste la legittimità ad impugnare i provvedimenti adottati dal giudice delegato, in sede di formazione dello stato passivo, anche da parte del socio unico di una società di capitali fallita.
È quanto si evince dall’ordinanza n. 26502 della Corte di Cassazione in cui i giudici di legittimità, confermando la posizione assunta sul punto dal Tribunale, rigettano il ricorso.
La veste del socio, quale titolare del 100% delle quote di una società a responsabilità limitata non risulta riconducibile a quella del titolare di diritti reali o personali sui beni acquisiti nella massa attiva e, pertanto, non rientra nel novero dei soggetti legittimati di cui all’articolo 98 L.F..
Nel caso di specie il socio unico della società proponeva ricorso per la violazione dell’articolo 98 L.F. denunciando l’erronea interpretazione del comma 3.
Secondo il ricorrente la sussistenza della legittimazione all’impugnativa sarebbe diritto anche del socio unico di una società di capitali, in quanto la quota posseduta è assimilabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro. Il ricorso attiene, altresì, alla possibilità di intraprendere una contesa giudiziale, avente come oggetto il decreto di esecutività, anche da parte del socio unico e non esclusivamente dai creditori ammessi allo stato passivo. Il tutto avvalorato dall’interesse specifico del socio volto a evitare che lo stato passivo possa contenere crediti inesistenti, aumentando il passivo fallimentare, considerato che egli può essere chiamato in causa sottoforma di responsabilità per il dissesto aziendale.
A riguardo, il Tribunale rigettava il ricorso rilevando il difetto di legittimazione attiva del ricorrente.
In ordine alla legittimazione a proporre opposizione allo stato passivo, la Cassazione n. 1197/2020 aveva chiarito che non sussiste la legittimazione del fallito ad impugnare i provvedimenti del giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo sia perché aventi efficacia meramente endoconcorsuale sia – articolo 43 L.F. – perché la legittimazione per i rapporti patrimoniali del fallito compresi nel fallimento è esclusiva del curatore.
In primo luogo, il collegio ribadisce che in effetti l’impugnativa può essere proposta anche dai titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili in possesso del fallito e acquisiti nel patrimonio fallimentare.
Ne consegue che i soggetti di cui all’articolo 98 L.F. possono proporre l’impugnativa avverso la domanda di un altro creditore o titolare di un diritto reale o personale, che sia stata accolta in tutto o in parte dal giudice delegato. Quindi, non basta solamente essere titolare di un diritto reale o personale su un bene confluito nella massa attiva, ma occorre, altresì, che sia vagliato e riconosciuto dal giudice delegato.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di merito, ha chiarito che i soggetti legittimati a proporre ricorso per revocazione contro crediti ammessi sono, oltre al curatore e ai titolari di diritti su beni mobili e immobili del fallito, i soli creditori ammessi al passivo che possono ricevere pregiudizio dal fatto che con essi concorra un soggetto privo della qualità di creditore (cfr. Cassazione n. 28666/2013).
In ragione di ciò, appurato che alcuna domanda di ammissione è stata ricevuta, il ricorrente non possiede la legittimazione all’impugnativa di credito di terzi in quanto non ammesso allo stato passivo.
Parimenti, in relazione alla figura di socio unico, la Suprema Corte ha ritenuto corretto l’indirizzo applicato dal Tribunale di Bari con sentenza dell’11.06.2020.
Ed infatti, nelle società di capitali, dotate di distinta soggettività giuridica e di propria autonomia patrimoniale, l’interesse del socio alla conservazione della consistenza patrimoniale della società avviene solo attraverso strumenti interni che ne assicurano la partecipazione alla vita sociale secondo le regole stabilite dall’ordinamento societario, ma non implica la legittimazione ad assumere iniziative esterne, quali azioni giudiziarie e impugnazione di atti, il cui esercizio resta riservato alla società medesima.
Ne consegue che, in caso di dichiarazione di fallimento della società esecutata il socio non è abilitato ad agire in via surrogatoria per la tutela del patrimonio della medesima (cfr. Cassazione, n. 5323/2003) e, nemmeno il fallito è ammesso alle impugnazioni dei crediti (cfr. Cassazione, nn. 1197/2020, 7407/2013).
Con tale intervento, la Suprema Corte ha precisato come anche il socio unico di una società di capitali fallita non sia legittimato ad impugnare i provvedimenti del giudice delegato in sede di formazione del passivo qualora non si sia insinuato e successivamente ammesso al passivo fallimentare.
È stato, altresì, chiarito come la mera posizione di socio unico non sia condizione sufficiente ad intraprendere azioni giudiziarie e impugnare atti.