11 Ottobre 2021

Il trasferimento del marchio dalla sfera privata a quella imprenditoriale di una persona fisica è tassato?

di Stefano Rossetti
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La persona fisica che esercita l’attività d’impresa in forma individuale (il c.d. “imprenditore individuale”) riveste due ruoli contemporaneamente a cui attengono due sfere (l’una “privata e l’altra “d’impresa”) che dal punto di vista tributario soggiacciono a regole diverse.

In questo contesto non di rado accade che vengano attributi dei beni riconducibili alla sfera personale alla sfera imprenditoriale: da qui nasce l’esigenza di valorizzare tali beni ai fini dell’applicazione delle norme relative al reddito d’impresa in assenza di uno specifico negozio giuridico a cui collegare un costo.

In tali ipotesi occorre applicare l’articolo 65, comma 3-bis, Tuir, secondo cui “per i beni strumentali dell’impresa individuale provenienti dal patrimonio personale dell’imprenditore è riconosciuto, ai fini fiscali, il costo determinato in base alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 689, da iscrivere tra le attività relative all’impresa nell’inventario di cui all’articolo 2217 del codice civile ovvero, per le imprese di cui all’articolo 79, nel registro dei cespiti ammortizzabili. Le relative quote di ammortamento sono calcolate a decorrere dall’esercizio in corso alla data dell’iscrizione”.

Analizzando la norma si evince che:

  • dal punto di vista oggettivo la norma fa riferimento solo ai beni strumentali, con esclusione dei beni merce, patrimonio, dei titoli e delle immobilizzazioni immateriali;
  • la valorizzazione dei beni strumentali deve avvenire in base ai criteri dettati dal D.P.R. 689/1974. Tale decreto era stato emanato al fine di determinare, nell’ambito del reddito d’impresa, i costi dei beni acquistati antecedentemente alla riforma fiscale del 1973 dai soggetti che non erano obbligati alla tenuta della contabilità ai fini fiscali. In particolare:
  • i beni immobili e i beni iscritti in pubblici registri sono valutati singolarmente in base al costo, assumendo come tale il valore definitivamente accertato ai fini delle imposte di registro o di successione o, in mancanza, il prezzo indicato nell’atto di acquisto, maggiorati degli oneri accessori di diretta imputazione” (articolo 4 D.P.R. 689/1974);
  • i beni mobili strumentali non iscritti in pubblici registri, raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e secondo i coefficienti di ammortamento […], sono valutati in base al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione” (articolo 5 D.P.R. 689/1974);
  • il costo storico o di produzione deve essere annotato nel libro inventari ex articolo 2217 cod. civ., ovvero nel libro dei cespiti ammortizzabili;
  • le quote di ammortamento sui cespiti oggetti di “conferimento” possono essere dedotte dal periodo d’imposta nel quale avviene l’iscrizione.

Nell’ambito del contesto sopra descritto ci si chiede come debba essere trattato il trasferimento di un marchio, registrato a nome di una persona fisica, dalla sfera privata alla sfera imprenditoriale.

L’Agenzia delle Entrate recentemente (risposta all’istanza d’interpello n. 489/E/2020) ha trattato il caso di una fondazione che voleva trasferire delle partecipazioni dalla sfera istituzionale a quella commerciale.

L’Amministrazione finanziaria, dopo aver ribadito che il disposto dell’articolo 65, comma 3-bis, Tuir è applicabile esclusivamente ai beni strumentali materiali e agli immobili, ha chiarito che l’immissione delle partecipazioni nell’ambito del regime d’impresa “costituisce un evento realizzativo e, pertanto, la valorizzazione… deve avvenire secondo i principi dettati dagli articoli 67 e 68 del Tuir e le eventuali plusvalenze saranno determinate confrontando il valore normale del bene «conferito» nell’area commerciale con il suo costo di acquisto, in quanto i beni verranno comunque immessi nel circuito del reddito d’impresa”.

Trasponendo i principi enunciati dall’Amministrazione finanziaria al caso di trasferimento del marchio dalla sfera privata a quella imprenditoriale di una persona fisica, si può concludere che:

  • l’immissione del marchio nell’ambito del reddito d’impresa è un’operazione realizzativa;
  • il reddito da imputare alla sfera privata della persona fisica è pari alla differenza tra il valore normale (ex articolo 9 Tuir) e il costo di acquisto o produzione del marchio.

Seppur astrattamente condivisibili, i principi enunciati dall’Agenzia delle Entrate, ad avviso di chi scrive, sono forieri di criticità in relazione alla qualificazione del reddito da imputare in capo alla sfera privata della persona fisica.

In altre parole, ci si chiede come possa essere qualificato il reddito da tassare in capo alla persona fisica “conferente”, stante l’assenza nel Tuir di una fattispecie reddituale riconducibile alla cessione del marchio.

L’Amministrazione in più occasioni (risoluzioni 81/E/2007 e 30/E/2006) ha sostenuto che tale reddito debba rientrare tra i proventi relativi all’assunzioni di obblighi di fare, non fare e permettere ex articolo 67, comma 1, lettera l), Tuir.

Francamente, questa soluzione appare poco convincente, in quanto la norma tributaria, come noto, non può essere interpretata estensivamente o in via analogica pena la violazione dell’articolo 23 Cost. che sancisce il principio di riserva di legge. Inoltre, i redditi diversi rappresentano una categoria reddituale residuale ma chiusa; pertanto, i redditi non esplicitamente inclusi non possono essere ricondotti a tale categoria.

Contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione finanziaria, la giurisprudenza di merito (sentenza CTP Trento n. 193/II/2017, sentenza CTR Veneto n. 524/V/2019 e sentenza CTP Bari n. 2112/VIIII/2019) ritiene che in presenza di un vuoto normativo il corrispettivo derivante dalla cessione di un marchio debba essere ritenuto fiscalmente irrilevante.

Da quanto sopra visto, dunque, il trasferimento di un marchio dalla sfera privata alla sfera imprenditoriale di una persona fisica rappresenta un evento di natura realizzativa che potrebbe dar luogo ad un reddito che non trova una sua collocazione sul piano normativo; pertanto, in caso di verifica fiscale, considerata l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, il contribuente potrebbe trovarsi nella situazione di dover affrontare un contenzioso tributario.