17 Maggio 2014

Il trasferimento di ramo d’azienda e la “circoscritta” tutela europea dei diritti dei lavoratori

di Davide De GiorgiRaffaello Fossati
Scarica in PDF

I Giudici europei, con la sentenza emessa a seguito della causa C-458/12, del 6 marzo 2014, hanno avuto modo di chiarire alcuni aspetti relativi al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di MANTENIMENTO dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.

Più specificatamente, la Corte di Giustizia è stata chiamata ad esprimersi su un tema abbastanza “caldo”, cioè quello del mantenimento dei diritti dei lavoratori (Direttiva 2001/23/CE) nell’ambito del trasferimento dei rapporti di lavoro in caso di cessione di ramo d’azienda non identificabile come entità economica autonoma preesistente.

Come noto, in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione “i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario” (Cfr. articolo 3, paragrafo 1, primo comma, Direttiva 2001/23CE) secondo le stesse modalità e alle stesse condizioni esistenti prima della data del trasferimento, compreso il diritto di vedersi “rappresentati” in azienda. In punto di diritto lo stesso principio deve essere applicato ogni qual volta oggetto di trasferimento sia un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.

La stessa Direttiva stabilisce che “Qualora l’impresa, lo stabilimento o la parte di un’impresa o di uno stabilimento non conservi la propria autonomia, gli Stati membri adotteranno i provvedimenti necessari per garantire che i lavoratori trasferiti, che erano rappresentati prima del trasferimento, continuino ad essere adeguatamente rappresentati per il periodo necessario a provvedere ad una nuova costituzione o designazione della rappresentanza dei lavoratori, conformemente alla legislazione o alla prassi nazionale”.

La controversia nasce a seguito di una riorganizzazione aziendale nella quale, prima del trasferimento, un intero dipartimento denominato “Technology and Operations” veniva suddiviso in decine di sottostrutture ritenute funzionalmente autonome. A seguito del trasferimento del discusso ramo d’azienda (effettuato tramite conferimento nel capitale di una società controllata), i lavoratori, ritenendo che tale conferimento non potesse essere qualificato come trasferimento di parte di azienda ex art. 2112, comma 5, c.c., hanno adito il Tribunale di Trento in qualità di giudice del lavoro, al fine di far constatare l’inefficacia del trasferimento nei loro confronti e di guisa, confermare il mantenimento del rapporto di lavoro con l’impresa cedente.

I ricorrenti precisano che l’operazione non potendo essere qualificato come “trasferimento di azienda o parte dell’azienda”, ricade sotto lo spettro applicativo dell’art. 1406 c.c.. In base a tale disposizione, la cessione del contratto di lavoro esige il CONSENSO del lavoratore.

A supporto della tesi fanno notare, da un lato, che precedentemente al trasferimento, il “ramo d’azienda” non costituiva una suddivisione funzionalmente autonoma e, dall’altro che detto “ramo” non sarebbe stato preesistente al trasferimento. I ricorrenti fanno leva anche sul potere preponderante esercitato dal cedente sul cessionario per disconoscere il trasferimento d’azienda. Il Tribunale di Trento demanda, con rinvio pregiudiziale, la questione alla Corte di Giustizia per chiarire i rapporti tra disciplina interna e Direttiva europea.

Gli eurogiudici chiariscono che la portata applicativa della Direttiva è limitata, da un lato, a quei trasferimenti aventi ad oggetto un’entità economica organizzata in modo stabile la cui attività non si limiti all’esecuzione di un’opera determinata, e dall’altro, a quei trasferimenti di entità economiche che godono, (prima della cessione), di un’autonomia funzionale sufficiente per organizzare “in modo relativamente libero ed indipendente” il lavoro, e più specificatamente “di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati (…), e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro”.

I giudici si soffermano sul termine “conservi” impiegato all’art. 6, paragrafo 1, primo e terzo comma della Direttiva e chiariscono che questo implica che “l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento”.

Considerando che la Direttiva non mira ad uniformare la legislazione giuslavoristica, ma solo ad armonizzarla in modo parziale, lo Stato membro può consentire la successione nei rapporti di lavoro ANCHE nell’ipotesi in cui il ramo d’azienda NON costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento.

Infine, in merito all’intenso potere di supremazia esercitato dal cedente nei confronti del cessionario, i Giudici chiariscono che tale argomento è inconferente in quanto “NON risulta da alcuna disposizione della direttiva 2001/23 che il legislatore dell’Unione abbia voluto che l’indipendenza del cessionario nei confronti del cedente costituisse un presupposto per l’applicazione della direttiva stessa”.