Il trattamento contabile per le criptovalute, in assenza di una disciplina organica a livello nazionale
di Francesco Paolo FabbriCon la recente “Legge di Bilancio 2023” (articolo 1, commi 126–147, L. 197/2022) sono state disciplinate fiscalmente, sotto diversi aspetti, le c.d. “cripto-attività”, rappresentazioni digitali di valore e di diritti che seguono la tecnologia del c.d. “registro distribuito” di informazioni digitali (c.d. “Distributed Ledgers Technology”), principalmente applicato dalla blockchain.
In un precedente intervento è stata presa in considerazione, tra le altre cose, la circostanza per cui risulta oggi prevista, con riguardo ai privati, la tassazione delle criptovalute anche in presenza della mera detenzione delle stesse (articolo 67, comma 1, lettera c-sexies, Tuir); quanto visto nonostante l’ordinamento tributario italiano stabilisca, come regola generale per la fiscalità dei beni, l’imposizione solamente all’atto del realizzo.
Vi è però l’eccezione relativa ai redditi fondiari, derivanti da asset che producono “frutti” (giuridici) e che sono dunque sottoposti a imposizione per la sola detenzione: in maniera simile si pone invero l’attuale regolamentazione fiscale delle valute virtuali, dato che vi sono casi in cui detti beni possono essere “vincolati” affinché se ne generino altri, cosa che ha luogo, ad esempio, nell’ambito delle operazioni di mining, staking e airdrop.
Tutte ipotesi nelle quali, parimenti, la detenzione delle criptovalute viene quindi assoggettata a tassazione come accade per i menzionati redditi fondiari.
Si può però notare come la richiamata previsione sull’imposizione delle valute virtuali solamente detenute non risulti applicabile per i soggetti che esercitano un’attività d’impresa, visto che il nuovo comma 3-bis dell’articolo 110 Tuir dispone specificamente che “In deroga alle norme degli articoli precedenti del presente capo e ai commi da 1 a 1-ter del presente articolo, non concorrono alla formazione del reddito i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle cripto-attività alla data di chiusura del periodo di imposta a prescindere dall’imputazione al conto economico”.
Viene quindi innanzitutto superata, relativamente alle oscillazioni di carattere valutativo delle criptovalute, la regola sulla derivazione rafforzata (articolo 83 Tuir), la quale, come noto, attribuisce rilevanza, ai fini della determinazione del reddito complessivo, alle risultanze di bilancio (salvo poi apportarvi le relative variazioni fiscali, in aumento e in diminuzione). Ciò in quanto viene in ogni caso stabilita l’irrilevanza delle variazioni di valore degli asset in esame, qualora non realizzati – circostanza che si può chiaramente desumere nonostante non venga espressamente stabilito nulla sull’ipotesi di realizzo, che seguirà perciò quanto stabilito dall’ordinaria disciplina sul reddito d’impresa.
La tecnica normativa utilizzata per la previsione di cui sopra è tutto sommato semplice, dal momento che il legislatore si è limitato a disporre che, a prescindere dalle modalità contabili adottate da chi redige il bilancio, le valutazioni delle cripto-attività non hanno alcun impatto fiscale.
Pertanto, qualunque sia il metodo di contabilizzazione adottato per le attività in oggetto porterà alla stessa (non) considerazione tributaria del fenomeno relativo alla stima di valore di tali beni.
Quanto riportato può però portare ad una diversa riflessione, rispetto a quella squisitamente fiscale, riguardante quello che può considerarsi il corretto trattamento contabile da riservare alle criptovalute. Considerando a questo fine, innanzitutto, come ad oggi non vi siano indicazioni in proposito:
- né a livello codicistico, dato che gli articoli 2423 e ss. cod. civ. non dispongono alcunché sulla questione di cui trattasi (sia a livello di qualificazione che per la relativa classificazione tra le attività in bilancio);
- né, tantomeno, da parte dello “standard setter” nazionale, non avendo l’OIC ancora affrontato la tematica nei propri documenti ufficiali.
Per avere lumi su simile problema si può pertanto fare riferimento al principio contabile nazionale n. 11, secondo cui “laddove un principio contabile internazionale risulti conforme ai postulati previsti nell’OIC 11, e non vi siano altri OIC applicabili in via analogica, possa essere preso a riferimento dal redattore del bilancio nello stabilire di caso in caso una politica contabile appropriata” (punto 7 della “Determinazione del trattamento contabile delle fattispecie non previste dagli OIC”, pag. 15).
Passando dunque alla prassi internazionale è possibile rilevare come l’Ifrs Interpretations Committee – “Comitato IAS/IFRS”, tramite il paper n. 12 dei giorni 11 e 12 giugno 2019 (che ha confermato le conclusioni del precedente paper n. 4 del marzo dello stesso anno), avesse inizialmente escluso che le valute virtuali potesse essere ricondotte alla nozione di:
- financial asset, in quanto non correlate ad un’attività sottostante o ad una controparte (bensì solo alla piattaforma di emissione/negoziazione);
- moneta, non attribuendo a chi le possiede il diritto contrattuale di ricevere denaro o altri financial assets e non conferendo nemmeno il diritto ad una qualsiasi residua interessenza nel capitale di chi le ha emesse;
- cash equivalent, dal momento che questi ultimi investimenti si possono considerare disponibilità liquide solamente se prontamente convertibili in un ammontare noto di denaro e soggette ad un irrilevante rischio di variazione di valore.
L’iniziale inquadramento contabile internazionale delle valute virtuali è stato pertanto quello di attività immateriali (IAS 38, §§ 8 e 12) oppure rimanenze (IAS 2, § 6); successivamente, però, quest’ultima qualificazione è stata messa in dubbio da parte dello stesso AICPA – American Institute of Certified Public Accountants (che pure non rappresenta una “standard setter”), visto che le valute virtuali mancano di consistenza fisica, non potendo che considerare le medesime solamente come immobilizzazioni immateriali. Infine, dopo varie ulteriori elaborazioni, il FASB – Financial Accounting Standards Board ha avuto modo di riportare, in data 12 ottobre 2022 nell’ambito del progetto “Accounting for and Disclosure of Crypto Assets”, che i beni in esame vanno in ogni caso valutati al fair value, pur senza fornire alcuna specifica classificazione degli stessi.
Ad ogni modo, se si trasla quanto riportato oltreconfine sul versante italiano si può appurare come non vi siano differenze sostanziali tra l’OIC 24 (§ 9) e lo IAS 38, almeno nella definizione della attività immateriali, al pari di ciò che accade con le rimanenze accostando l’OIC 13 (§ 4) e il citato IAS 2. Questo nonostante l’OIC abbia dimostrato alcune perplessità rispetto alle conclusioni raggiunte in sede internazionale con riguardo all’equiparazione concettuale con le immobilizzazioni immateriali – pur non proponendo possibili alternative a livello classificatorio (si veda il documento “Re: IFRS Interpretations Committee tentative agenda decisions published in the March 2019 IFRIC update”, del 30 maggio 2019).
Occorre comunque tenere a mente l’ulteriore conseguenza della classificazione in bilancio adottata, dato che, a seconda di come vengono considerate le criptovalute per i soggetti che redigono il bilancio, vi sarà un diverso trattamento da applicare qualora si tratti:
- di immobilizzazioni immateriali, che vanno
- valorizzate al costo, e
- ammortizzate di anno in anno;
- di rimanenze, per cui è necessario
- rilevarle parimenti al costo di acquisto/produzione (più oneri accessori),
- utilizzando poi i noti criteri di stratificazione (FIFO, LIFO, costo medio ponderato eccetera), ed infine
- con l’obbligo di verificare periodicamente la sussistenza di eventuali e apprezzabili perdite di valore sulla base del “valore di realizzazione desunto dall’andamento del mercato”.
In sostanza, come ordinariamente accade con le altre tipologie di beni, l’iscrizione tra le immobilizzazioni immateriali avverrà nel caso in cui le valute virtuali presentino la potenzialità di generare benefici economici futuri per l’impresa e siano destinate ad essere possedute come attività e non come beni per la vendita nel normale svolgimento dell’attività d’impresa. Gli stessi asset andranno invece registrati tra le rimanenze se l’impresa li destina normalmente alla vendita nel normale svolgimento della sua attività.
Da ultimo è possibile constatare quanto parimenti affermato in merito dall’Agenzia delle Entrate, che si è impostata su una diversa linea interpretativa (cfr. risoluzione 72/E/2016 e risposta a interpello n. 14 del 28.09.2018), sostenendo – in aderenza con la ricostruzione della sentenza CGUE C-264/14 del 22 ottobre 2015 – che, anche a livello contabile, il trattamento da riservare sia quello relativo alle valute tradizionali, estere in particolare.