Il trattamento delle indennità chilometriche corrisposte agli sportivi dilettanti
di Guido Martinelli
L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione 38/E di ieri, fornisce alcuni importanti chiarimenti in merito al trattamento tributario da riservare alle c.d. indennità chilometriche corrisposte, ai sensi di quanto previsto dall’art. 69, secondo comma del Tuir, ai soggetti che svolgono “esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica” (pur avendo usato tale terminologia, il riferimento legislativo ci consente di affermare che le considerazioni svolte siano applicabili anche ai collaboratori coordinati e continuativi c.d. “amministrativo – gestionali” nei confronti dei quali trova applicazione la medesima disciplina in esame).
Da evidenziare positivamente appare il riconoscimento, da parte della Amministrazione Finanziaria, che non esista: “una compiuta disciplina civilistica relativa agli sportivi dilettanti”.
Dato atto di ciò inquadra dette indennità tra i rimborsi spese viaggio sostenute dal soggetto interessato per raggiungere il luogo di esercizio dell’attività mediante un mezzo di trasporto.
L’importante conseguenza, sotto il profilo applicativo che ne deriva, è che il luogo di partenza non deve considerarsi il luogo dove viene svolta l’attività (come accade, ad esempio, per i titolari dei contratti a progetto) ma il Comune di residenza o di dimora.
Ne consegue che, conformemente comunque al pur chiaro dettato della legge, se il viaggio prevede lo spostamento in altro Comune diverso, il rimborso di dette spese non concorre mai alla formazione del reddito del percipiente.
Se e ove, invece, trattasi di spostamenti che avvengono all’interno del territorio comunale di residenza o di dimora, e, comunque, in caso di mancata documentazione di dette spese, le indennità corrisposte non concorreranno alla formazione del reddito fino alla franchigia dei settemilacinquecento euro, ivi comprendendoci anche le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi percepiti.
Per potersi considerare documentate le indennità chilometriche non potranno mai essere forfettarie ma legate al tipo di veicolo utilizzato e alla distanza percorsa, sulla base di quanto contenute nelle c.d. tabelle ACI.
L’Agenzia non fornisce, però, un importante chiarimento, ossia se possa trovare applicazione, in questo caso, la previsione di cui al terzo comma dell’art. 95 del Tuir che limita la previsione delal deducibilità fiscale dei rimborsi chilometrici corrisposti ai lavoratori dipendenti al costo di percorrenza previsto per autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali ovvero 20 se con motore diesel.
Altro aspetto importante trascurato dall’Agenzia è sulla possibilità, riconosciuta ai lavoratori dipendenti dall’art. 51 comma quinto del Tuir, laddove prevede che le somme erogate ai lavoratori, a fronte di una trasferta fuori dal comune di lavoro, siano esenti fino alla soglia giornaliera di 46,48 euro in Italia e di 77,47 euro all’estero. Tali esenzioni sono ridotte di un terzo nel caso in cui al lavoratore venga riconosciuto un rimborso a piè di lista delle spese di vitto o di alloggio e di due terzi nel caso in cui l’azienda rimborsi a piè di lista sia le spese per il vitto che per l’alloggio. Si ritiene che tale limite non possa essere applicato anche agli sportivi dilettanti e, pertanto, qualsiasi emolumento non legato a costi effettivamente sostenuti rientri, a pieno titolo, nella fascia dei settemilacinquecento euro.
La parte conclusiva della risoluzione presente due aspetti che in sede di commento debbono essere adeguatamente posti in evidenza.
Il primo è il seguente: “si ritiene che l’attuale formulazione dell’art. 69 comma 2 del Tuir, in considerazione della non configurabilità di un rapporto di lavoro nell’attività sportiva dilettantistica …”.
L’Agenzia delle entrate, pertanto, conferma, quanto del resto chi scrive ha sempre affermato, che la categoria degli sportivi dilettanti non definisce una nuova categoria di “lavoratori” diversi dagli autonomi o subordinati, ma disciplina una attività fatta per diletto, per motivazioni comunque che non prevedano un rapporto sinallagmatico con il soggetto erogatore delle somme.
Il secondo, a questo strettamente connesso, laddove viene chiarito che il contenuto della risoluzione vale solo sul presupposto che: “l’attività svolta sia effettivamente riconducibile all’art. 67 comma 1 lett. m) e non sia riscontrabile l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente o autonomo, nel quale ultimo caso si applicherebbero le diverse regole previste per le rispettive categorie reddituali”.
Pertanto, oltre a confermare l’assunto che le prestazione sportive non possono riferirsi ad attività lavorative e che queste ultime ben possono essere svolte nell’ambito di una attività sportiva dilettantistica, l’Agenzia precisa che un inquadramento non corretto dei compensi degli sportivi produce non solo conseguenze sotto il profilo previdenziale ma anche fiscale con il recupero a tassazione anche degli eventuali rimborsi spese riconosciuti.