14 Ottobre 2015

Il trust come alternativa (preferibile) ai patti parasociali

di Sergio Pellegrino
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Torniamo all’utilizzo del trust in ambito societario: si può fare ricorso all’istituto per gestire una società con una compagine societaria frammentata in modo più efficiente rispetto a quanto avviene con i patti parasociali.


 

Molto spesso la gestione delle società, anche se di piccole o medie dimensioni, si presenta difficoltosa e conflittuale nel momento in cui la compagine societaria è variegata e magari non omogenea.

Si fa quindi normalmente ricorso alla stipula di patti parasociali per regolamentare i rapporti tra i soci attraverso la stipula di veri e propri contratti, che possono disciplinare i comportamenti posti in essere nell’ambito degli organi della società, così come nei rapporti con i terzi.

Le situazioni più frequentemente disciplinate sono quelle di governance della società, ad esempio accordandosi circa il fatto che in assemblea alcune decisioni possano essere assunte solo con il voto di uno o più soci determinati, a prescindere dalla quota di capitale detenuta, o l’impegno al voto congiunto, e di circolazione delle partecipazioni, introducendo delle limitazioni al riguardo a quella che è l’autonomia dei soci.

I patti parasociali sono disciplinati a livello normativo dagli articoli 2341 bis e 2341 ter del Codice Civile che ne stabiliscono gli obiettivi, i termini e la pubblicità.

Il Codice regolamenta i patti parasociali limitatamente alle società per azioni, ma possono essere stipulati anche in quelle a responsabilità limitata. La durata non può essere superiore a cinque anni (quelli di durata maggiore sono automaticamente riparametrati sulla base di questo limite temporale), ma possono essere rinnovati alla scadenza. 

Ma qual è il limite dei patti parasociali?

Il fatto che questi hanno valenza soltanto nei rapporti fra i soci che li hanno stipulati, non sono quindi opponibili alla società o a terzi.

Il socio quindi può disattendere “tranquillamente” l’impegno, rispondendo unicamente del proprio inadempimento.

Per questo motivo, spesso, vengono previste esplicitamente delle penali già quantificate, che naturalmente non risolvono il problema sostanziale, ma risarciscono, parzialmente s’intende, i soci “traditi” dal mancato rispetto del patto.

Ecco che allora, in un contesto del genere, il trust può essere uno strumento utile per superare questo tipo di problematica, creando un vincolo effettivo nella gestione societaria e nell’attuazione dell’accordo raggiunto fra i soci.

Questi dovrebbero trasferire le proprie partecipazioni al trustee, che a quel punto diventerebbe socio della società: ovviamente va vagliata preventivamente l’esistenza di clausole limitative della circolazione delle partecipazioni eventualmente contenute nello statuto societario.

Nell’atto istitutivo il trustee viene “impegnato” ad attuare il comportamento voluto dai disponenti-ex soci: ad esempio, se questo è il caso, l’esercizio (a quel punto necessariamente) uniforme dei diritti di voto nelle assemblee della società.

Naturalmente, in una fattispecie di questo tipo, va scelta con cura la figura del trustee, che deve avere le necessarie competenze, così come appare fondamentale il ruolo del guardiano, che deve vegliare sull’operato del trustee, dovendo prestare il proprio consenso nelle situazioni più delicate (ed individuate dall’atto istitutivo stesso).

Un trust che persegua questo tipo di finalità avrà una durata strettamente correlata a quella che è la volontà dei soci di rimanere reciprocamente “vincolati”, potendo quindi eccedere il termine quinquennale che, invece, abbiamo visto essere inderogabile quando vengono stipulati patti parasociali.

Alla cessazione del trust, le quote trasferite al trustee faranno il percorso inverso, venendo ritrasferite ai disponenti che acquisiranno nuovamente la qualifica di soci.

Sarà opportuno che l’atto istitutivo stabilisca a priori che cosa accada in caso di morte (o di incapacità) dei disponenti (se questi sono persone fisiche), individuando i soggetti ai quali le partecipazioni debbano essere trasferite (che non necessariamente debbono essere gli eredi).