Il trust interposto quale veicolo nella pianificazione fiscale aggressiva
di Marco BargagliCome noto, le società, gli enti ed i trust sono considerati residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), hanno stabilito la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Quindi per effetto dell’articolo 1, commi da 74 a 76, L. 296/2006, che ha modificato l’articolo 73 Tuir, è stata riconosciuta al trust un’autonoma soggettività tributaria estendendo anche ad esso l’imposta sul reddito delle società (Ires).
In ordine al trattamento fiscale dei redditi conseguiti, l’Agenzia delle entrate – Direzione centrale normativa, con la circolare 61/E/2010, ha diramato precise indicazioni aventi ad oggetto “ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina fiscale dei Trust”.
Nel citato documento di prassi viene posto in evidenza che l’espressione “anche se non residenti” non può che intendersi riferita ai trust, posto che la finalità della norma è quella di rendere il beneficiario residente individuato soggetto passivo con riferimento ai redditi ad esso imputati dal trust, a prescindere dalla residenza di quest’ultimo.
In buona sostanza, fatte salve le ipotesi di interposizione del trust nelle quali il beneficiario può conseguire redditi di diversa natura secondo le categorie previste dall’articolo 6 Tuir, ai sensi della lettera g-sexies), comma 1, dell’articolo 44 Tuir, il reddito imputato dal trust a beneficiari residenti è imponibile in Italia in capo a questi ultimi quale reddito di capitale, a prescindere dalla circostanza che il trust sia o meno residente in Italia e che il reddito sia stato prodotto o meno nel territorio dello Stato.
Così facendo:
- il trust estero è soggetto a tassazione analogamente alla generalità dei trust italiani;
- viene scongiurato il conseguimento di indebiti risparmi di imposta (in ipotesi di trust opachi costituiti in giurisdizioni straniere a regime fiscale agevolato – circolare AdE 48/E/2007).
L’utilizzo in chiave elusiva del trust è stato illustrato dall’’Agenzia delle Entrate in alcuni documenti di prassi emanati nel corso degli anni (cfr. circolare AdE 43/E/2009 e circolare AdE 61/E/2010).
In particolare non possono essere considerati validamente operanti, sotto il profilo fiscale, i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni dei redditi.
Trattasi, ad esempio, dei trust nei quali l’attività del trustee risulti eterodiretta dalle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari.
Sulla base delle indicazioni diramate da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’utilizzo elusivo del trust si potrebbe verificare quando il soggetto disponente:
- può far cessare liberamente in ogni momento il trust, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
- è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario;
- risulti dall’atto istitutivo, ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione e amministrazione, non può esercitarli senza il suo consenso;
- è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando sé stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “trust a termine”);
- può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari;
- ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati.
Oltre agli elementi sopra indicati, sono da ritenere inesistenti – in quanto interposti – le tipologie di trust ove il potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.
Più di recente, con la risposta all’interpello n. 398/2021, l’Agenzia delle entrate ha illustrato la qualificazione fiscale di un trust estero (in ipotesi di interposizione ex articolo 37, comma 3, D.P.R. 600/1973) e il conseguente trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi, delle imposte indirette e del monitoraggio fiscale (con obbligo di compilazione del quadro RW).
Con riferimento al quesito posto dal contribuente istante, l’Agenzia delle entrate ha ricordato che affinché un trust possa essere qualificato soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi, costituisce elemento essenziale l’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui affidati dal disponente.
Sul punto, la circolare AdE 99/E/2001, con riferimento alla possibilità di regolarizzare attività detenute all’estero tramite un trust, ha individuato, a titolo esemplificativo – quale caso di interposizione – il trust revocabile per cui il titolare va identificato nel disponente o settlor, ovvero un trust non discrezionale nei casi in cui il titolare può essere identificato nel beneficiario.
Con particolare riferimento al trust revocabile, la citata circolare AdE 48/E/2007 ha precisato che, in questa particolare tipologia di istituto, il disponente si riserva la facoltà di revocare l’attribuzione dei diritti ceduti al trustee o vincolati nel trust (nel caso in cui il disponente sia anche trustee); diritti che, con l’esercizio della revoca, rientrano nella sua sfera patrimoniale.
In tale circostanza non si realizza un trasferimento irreversibile dei diritti e, soprattutto, il disponente non subisce una permanente diminuzione patrimoniale.
Questa tipologia di trust, ai fini delle imposte sui redditi, non dà luogo ad un autonomo soggetto passivo d’imposta, cosicché i suoi redditi sono tassati in capo al disponente.
Inoltre, in presenza di un trust irrevocabile nel quale il trustee risulta di fatto privato dei poteri dispositivi sui beni attribuiti al trust, che risultano invece esercitati dai beneficiari, il trust medesimo deve essere considerato come non operante, in quanto fittiziamente interposto nel possesso dei beni.
In buona sostanza, si rientra nelle ipotesi in cui le attività facenti parte del patrimonio del trust continuano ad essere a disposizione del settlor, oppure rientrano nella disponibilità dei beneficiari (cfr. circolare AdE 43/E/2009).
Con riferimento alla fattispecie oggetto dell’interpello, il soggetto istante ha chiesto:
- di confermare che Alfa Trust possa qualificarsi come trust interposto ai fini fiscali, ai sensi dell’articolo 37, comma 3, D.P.R. 600/1973 in capo alla disponente (madre dell’Istante), sia sotto il profilo delle imposte dirette, sia dal punto di vista dell’imposta sulle successioni e donazioni;
- con riferimento a Beta Trust, di confermare che lo stesso possa qualificarsi come trust opaco, validamente esistente ai fini fiscali, con riferimento alle imposte sui redditi e all’imposta sulle successioni e donazioni e che, pertanto, non possa considerarsi interposto.
Sulla base dei chiarimenti diramati dalla prassi amministrativa l’Agenzia delle entrate, nella risposta all’interpello n. 398/2021, ha ritenuto che con riferimento al trust oggetto dell’istanza non si può ritenere verificato un reale spossessamento dei beni da parte del disponente che consente di reputare il trust in argomento un autonomo soggetto di imposta.
Di conseguenza la madre dell’Istante, in qualità di Disponente e beneficiaria dell’Alfa Trust e di unica beneficiaria del Beta Trust, deve essere individuata come interponente ai fini fiscali in Italia.
Quindi, alla stessa, è riferibile il reddito dei citati Trust ai sensi dell’articolo 37, comma 3, D.P.R. 600/1973.