Il valore delle presunzioni tributarie nel processo penale
di Luigi FerrajoliLe presunzioni legali previste dalle norma tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato fiscale, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad altri elementi di riscontro che diano certezza in relazione all’esistenza della condotta criminosa.
È questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, in conformità al proprio prevalente orientamento giurisprudenziale, nella sentenza n. 30890/2015.
Secondo la Suprema Corte, il giudice di merito può ben ricorrere agli accertamenti della Guardia di finanza o dell’Ufficio finanziario, ma non può appiattirsi solo su questi elementi che, per assurgere a prova, devono “trovare oggettivo riscontro o in distinti elementi di prova o in altre presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti”.
Le presunzioni, precisa la Corte di Cassazione, proprio per la loro natura di dati di fatto con valore indiziario, non possono costituire la prova della responsabilità penale del contribuente, ma certamente possono essere poste a fondamento di un provvedimento cautelare reale.
Nella sentenza in commento la Cassazione accoglie il ricorso di due soggetti, imputati di una serie di reati quali associazione per delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti e omessa dichiarazione dei redditi, commessi in relazione alla creazione di società fittizie all’estero che fungevano da “percettori di compensi” e delle sponsorizzazioni di un campione di motonautica (uno dei due imputati), quando, nella realtà, l’effettiva erogatrice di prestazioni e anche reale destinataria sarebbe stata un’associazione italiana.
Il giudice di primo grado li aveva assolti dal reato associativo e ritenuti colpevoli con riguardo ad alcuni dei reati fiscali contestati; la Corte di appello di Milano aveva confermato la condanna per entrambi in merito all’omessa dichiarazione, avvalendosi di presunzioni nella determinazione del reddito sottratto a tassazione.
Il ricorso alla prova presuntiva per affermare la responsabilità penale dei contribuenti era stato censurato dagli stessi con il ricorso per cassazione; secondo i ricorrenti il giudice di secondo grado non avrebbe tenuto conto come proprio dagli atti di indagine fossero emersi elementi che permettevano di risalire ai redditi. A sostegno della tesi, i due imputati richiamavano un verbale di constatazione della Guardia di Finanza da cui sarebbe emersa l’assenza di qualsiasi riscontro documentale o bancario che potesse permettere di ricostruire l’evasione; la quantificazione delle somme evase sarebbe stata frutto di una “semplice operazione aritmetica con cui si è calcolata la media ponderale delle presente evasioni degli anni precedenti”.
Sul punto, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso degli imputati ribadendo che “le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa”.
Ed ancora “Ai fini della prova del reato, il giudice può legittimamente fare ricorso agli accertamenti della Guardia di Finanza o dell’ufficio finanziario, anche ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, pur dovendo il proprio esame estendersi a valutare ogni altro eventuale indizio acquisito, in quanto l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione però che detti elementi siano assunti non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori e, siccome dette presunzioni hanno il valore di un indizio, esse, per assurgere a dignità di prova, devono trovare oggettivo riscontro o in distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti”.
Nel caso di specie, la Corte di appello aveva quindi legittimamente preso in considerazione il procedimento presuntivo indicato dall’Ufficio impositore, ma tali presunzioni, in quanto meri indizi, avrebbero dovuto essere corroborate dalla presenza di ulteriori riscontri onde potere assumere il valore di prova della responsabilità penale degli imputati.