Il valore fiscale delle merci nella donazione di azienda tra soggetti semplificati
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Il computo del valore fiscale delle merci in rimanenze trasferite da un soggetto all’altro a seguito di donazione di azienda rappresenta un tema di non facile soluzione dovendosi coniugare il principio di neutralità e trasparenza della donazione di azienda di cui all’articolo 58 Tuir, con l’assioma secondo cui nessuno deve essere sottoposto a doppia tassazione, né fruire di salti di imposta.
Nel caso di donazione di azienda tra soggetti in contabilità ordinaria, il predetto principio di neutralità della donazione – peraltro condizionato alla circostanza che il donatario assuma l’azienda ai medesimi valori fiscali riconosciuti in capo al donante (condizione che nella prassi operativa è manifestata, si potrebbe dire, nel 100% dei casi) – assicura che il medesimo valore delle merci, che costituiscono rimanenza finale del donante, sia riconosciuto come componente negativo deducibile in capo al donatario (come se si trattasse di rimanenze iniziali del donatario stesso), con l’effetto di non generare duplicazioni e salti di imposta.
Poniamo che Tizio doni la propria azienda al figlio Caio, avendo acquistato 100 di merce e non avendo venduto alcun bene. Al momento della donazione, il donatario Caio riceve la merce al medesimo valore di 100, sicché se poi quest’ultimo la vende a 110, si avrà un reddito di 10 posto che verrà confrontato il valore di carico delle merci (100) con il ricavo da cessione (110).
Quindi quella merce acquistata dal donante e ceduta dal donatario determina, giustamente, un unico imponibile di 10.
Ora ipotizziamo la medesima operazione solo che Tizio e Caio sono due soggetti in contabilità semplificata. Tizio ha acquistato la merce (100), poniamo, nel 2016, nel 2017 entra nel regime semplificato e determina una perdita di 100 (per effetto del diritto/obbligo di imputare a perdita il valore delle rimanenze al 2016), poi non produce più alcun reddito, e quindi la perdita non viene utilizzata. Nel 2023 dona l’azienda al figlio Caio il quale dovrebbe considerare inesistente il valore delle merci (in continuità con il valore di zero delle rimanenze finali del donante), e che poi cede la merce a 110 generando un reddito di 110.
Se pensiamo a Tizio (donante) e Caio (donatario) come soggetti di un ipotetico “consolidato fiscale”, si avrebbe che a fronte di un costo di 100 – di fatto non fruito poiché divenuto perdita e riportato a nuovo in capo ad un soggetto che non potrà più in alcun modo dedurre quella perdita, avendo cessato la sua attività di imprenditore (con la donazione d’azienda) – si genera un reddito di 110 in capo al donatario, quindi una ipotesi iniqua di reddito equivalente al ricavo.
Per tale motivo nella risposta all’interpello n. 516/2020, applicando una interpretazione sistematica delle norme in materia di a) donazione, b) irrilevanza delle rimanenze per il semplificato e c) criteri di deduzione della perdita, l’Agenzia delle entrate arriva a concludere che “nel limite del minore importo tra il valore delle merci donate e la perdita non fruita, il donatario può ritenere riconosciuto fiscalmente il valore stesso delle merci”.
Quindi, tornando al nostro esempio, avremo che:
- per il donante, la perdita riportata a nuovo diventa di fatto irrilevante avendo costui abbandonato, con la donazione, lo status di soggetto che produce reddito d’impresa;
- per il donatario, il valore di acquisto delle merci è riconosciuto per il minore tra il valore delle merci donate (100) e la perdita non fruita (100), quindi il dato riconosciuto è sempre 100, il che permette di tassare solo il differenziale tra costo (100) e ricavo (110), quindi imponibile per 10 in capo al donatario.
Ora proviamo ad aggiornare questi enunciati ad una ipotesi più attuale, cioè Tizio intraprende una attività commerciale in “regime semplificato di cassa” dopo il 2017, diciamo nel 2020, acquistando merce ad oggi invenduta per 100. Si assuma, altresì, che nel 2023 Tizio doni la sua azienda al figlio Caio, anch’esso soggetto in regime di semplificato di cassa. In tale fattispecie, è pacifico domandarsi quale sia il corretto valore delle merci in capo a Caio (donatario).
A parere di chi scrive per risolvere la tematica occorre valutare separatamente i vari casi che si possono presentare a seconda delle scelte contabili esercitate dai soggetti donante e donatario.
Ipotizziamo che il donante abbia optato per il regime di cassa “stretto” (quindi dando rilevanza al momento del pagamento) e che abbia acquistato le merci a 100, ma pagate solo per 80 (20 restano da pagare). Il costo di 80 ha generato una perdita in capo a Tizio.
Per Caio si avrà che il valore delle merci donate (fisicamente esistenti per 100) sarà riconosciuto per 20 ovvero per la parte non pagata e quindi non dedotta da Tizio (donante), e ciò se la perdita di 80 sarà stata dedotta dal donante al momento di esecuzione della donazione. Diversamente se detta perdita non sarà stata fruita (né mai potrà essere fruita da Tizio perché privo di reddito d’impresa), il valore di carico delle merci riconosciuto in capo al donatario dovrebbe espandersi a 100.
Questa conclusione è in qualche modo avvalorata dal contenuto della risposta all’interpello n. 516/2020.
Caso critico sarebbe la situazione in cui Tizio (donante) non ha dedotto le perdite prodotte dall’aver acquistato e parzialmente pagato le merci, ma detenendo, ad esempio, partecipazioni in altre società commerciali, egli potrebbe in futuro compensare delle perdite. In tal caso si ritiene, con un approccio prudenziale, che le merci riconosciute in capo a Caio siano limitate a quelle non pagate da Tizio (donante).
Infine, è lecito domandarsi quale sia il momento in cui il dato delle merci non dedotte (perché non pagate) da Tizio diventano rilevanti per Caio.
Al riguardo, è possibile ritenere che se quest’ultimo adotta il criterio di cassa, la deduzione scatterà con il pagamento del dato rimasto a debito (20), mentre se Caio adotta il criterio della “registrazione Iva” di cui all’articolo 18, comma 5, D.P.R. 600/1973, le cose si complicano. Si potrebbe ritenere, in via equitativa, che essendo la donazione di azienda un atto non rilevante ai fini Iva (quindi non soggetto ai classici termini della registrazione della fattura), il componente negativo possa essere comunque rilevato entro 60 giorni dall’atto di donazione applicando, in modo non letterale, il passaggio contenuto nella circolare 11/E/2017, in materia di termini di registrazione dei documenti non Iva.