Il valore normale esteso in modo generalizzato anche alle operazioni di transfer pricing c.d. “interno”
di Davide De GiorgiRaffaello Fossati
Seppur a seguito di una interpretazione strettamente letterale delle disposizioni in materie di prezzi di trasferimento previste ex art. 110, comma 7, del D.P.R. n. 917 del 1986, si evince che la norma è applicabile solo in casi di operazioni infragruppo con società dislocate in altri territori rispetto al territorio interno, la Suprema Corte di Cassazione ha specificato che per “assimilazione”, il c.d. valore normale deve essere applicato anche nelle transazioni infragruppo tra società aventi sede in Italia c.d. transfer pricing “domestico”.
Con la sentenza n. 8849 del 16 aprile 2014 gli Ermellini hanno sovvertito il paradigma giuridico espresso dal giudice di seconde cure il quale riteneva non configurabile, nel caso di specie, un’operazione di c.d. transfer pricing “interno”, e riteneva non applicabile il disposto ex art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973.
In modo diametralmente opposto, la Corte di Cassazione qualifica come “elusiva” quella pratica di “maggiorazione del prezzo” effettuata dalla capogruppo (Cooperativa a r.l.) nei confronti di una sua società controllata (S.r.l.), entrambe residenti in Italia, effettuata con nessun’altra finalità “se non quella di assicurare, mediante un trasferimento di utili infragruppo, un vantaggio fiscale per il gruppo stesso, considerata la più favorevole legislazione speciale sulla fiscalità delle società cooperative”.
A detta della Corte, la disposizione relativa alla determinazione del valore normale deve essere applicata, anche nelle transazioni infragruppo tra società entrambe residenti in Italia, ogni qualvolta che il contribuente, con la fissazione di un prezzo fuori mercato, miri a far emergere utili presso la società del gruppo che sconta la tassazione più bassa, NON solo per agevolazioni territoriali, MA ANCHE a motivo della veste societaria qualora foriera di un più mite trattamento tributario.
Inoltre, in continuità con quanto già affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 17955/13 i Giudici rammentano che nella valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento tra società facenti parte di uno stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia deve essere applicato il principio, “avente valore generale, e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo”, stabilito ex art. 9 del Tuir.
Questa disposizione infatti NON ha una mera portata contabile ma, a contrariis, deve essere qualificata clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali, come lo spostamento dell’imponibile presso le imprese associate che, nel territorio, godano di esenzioni o minor tassazione, mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti giuridici idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
A corollario di tale interpretazione giuridica i Giudici fanno notare che la “disposizione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, non sia una norma dettata per le sole transazioni tra una società nazionale ed una estera, lo si evince – in maniera inequivocabile – dalla stessa collocazione della norma tra le “disposizioni generali” applicabili in materia di imposte sui redditi, di cui al titolo I, capo I del D.P.R. n. 917 del 1986. E, non a caso, la disposizione dell’art. 76, commi 2 e 5 (come, ora l’art. 110, commi 2 e 7) del decreto cit. rinvia al precedente art. 9, – secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione di carattere generale, da parte di una norma speciale che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare (Cass. 914/68) – ai fini della determinazione del valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, con riferimento alle transazioni commerciali effettuate tra società dello stesso gruppo; e ciò, sia pure con riferimento specifico all’ipotesi in cui alcune di tali società siano italiane, altre straniere”.