Il vizio di sottoscrizione dell’atto non è eccepibile in Cassazione
di Luigi FerrajoliLa Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 21307 del 20 ottobre 2015, cassa con rinvio la sentenza di merito sottoposta al vaglio di legittimità, pronunciandosi incidenter tantum sull’eccezione concernente il difetto di sottoscrizione dell’atto impositivo, formulata dalla parte contribuente con memorie depositate ex articolo 378 cod.proc.civ. entro il termine di cinque giorni antecedenti la discussione del ricorso.
La fattispecie sottoposta all’esame della Corte concerne l’impugnazione da parte di un contribuente della sentenza di appello per un presunto vizio di motivazione, poi confermato dai Supremi Giudici che hanno cassato con rinvio alla Commissione di secondo grado in diversa composizione affinché si pronunciasse sui motivi dell’appello promosso dall’Ufficio delle Entrate ed immotivatamente accolto dal Giudice del gravame.
La controversia, vertente in materia di rideterminazione sintetica del reddito dichiarato dal contribuente per il periodo d’imposta 2004 in seguito all’applicazione degli indici sintomatici di maggiore capacità contributiva (cd. redditometro), vede i Giudici di legittimità analizzare anche la proposizione di “nuovi motivi” così come irrimediabilmente definiti dagli ermellini.
In particolare, l’ordinanza dà atto che con memoria illustrativa la parte ricorrente ha introdotto un nuovo motivo di illegittimità dell’atto amministrativo impugnato, non formulato in precedenza, né con riguardo al contenuto del ricorso in Cassazione, né tantomeno del ricorso introduttivo di primo grado e, pertanto, da giudicarsi innovativo e come tale soggetto a declaratoria di “assoluta inammissibilità”.
Il motivo, di assoluto rilievo data la risonanza della questione e l’impatto che un orientamento favorevole alla sua positiva rilevanza in ogni stato e grado del giudizio sarebbe stato in grado di generare ai fini della validità degli atti tributari impugnati, concerne “la contestazione del potere di firma in capo al soggetto firmatario dell’atto per cui è lite siccome incaricato di funzioni dirigenziali e non dirigente a seguito di concorso pubblico”.
La questione, che tanto rumore ha suscitato in seguito alla pubblicazione della nota sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale datata 25.02.2015, è nota e concerne l’illegittimità degli incarichi dirigenziali assunti dai funzionari dell’Agenzia delle entrate in carenza di pubblico concorso.
Diverse Commissioni Tributarie di merito non hanno perso l’occasione per risolvere le sistemiche eccezioni svolte dai contribuenti circa la nullità di sottoscrizione degli atti impositivi, facendo richiamo alla suddetta ordinanza di legittimità, onde statuire l’inammissibilità del motivo laddove non sollevato nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio.
Ma siamo proprio certi che la pronuncia della Corte di Cassazione sia risolutiva della questione all’ordine del giorno relativa all’illegittimità degli incarichi dirigenziali assunti dai funzionari delle entrate ed alla conseguente nullità degli atti da questi sottoscritti?
La declaratoria di incostituzionalità pronunciata dalla Corte Costituzionale, infatti, colpisce l’articolo 8, comma 24, del D.L. n. 16/2012 (convertito con modificazioni dall’articolo 1 Legge n. 44/2012) che autorizzava l’Agenzia delle entrate ad attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato a copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali.
L’atto impositivo controvertito nel ricorso in Cassazione non poteva, ratione temporis, essere stato emesso in dipendenza dell’operatività della suddetta norma e dunque la sopravvenuta incostituzionalità della stessa non era idonea a determinare ex nunc la nullità dell’avviso qualora il contribuente non avesse rilevato tale profilo di nullità sin dalla primo atto giudiziario.
L’ordinanza, con un approccio tranchant, conclude ritenendo il suddetto motivo meritevole di: “appena un cenno per rilevarne l’assoluta inamissibilità” poiché “quand’anche si trattasse di argomenti deducibili indipendentemente dalle preclusioni che regolano il rito tributario (articoli 18 e 24; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57), essi sarebbero stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito di cassazione, non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di fatto che costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti di parte ricorrente, il cui onere di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque manifesto ed imprescindibile”.
Ne deriva la correttezza della statuizione giurisprudenziale in commento, seppure limitatamente al caso controverso che è stata chiamata a dirimere, non potendo condividersi l’interpretazione che di essa taluni Collegi di merito hanno adottato nell’ottica di estendere tale decisum a tutte le eccezioni sollevate in seguito alla incostituzionalità dell’articolo 8 comma 24, del D.L. n. 16/2012.