Illecita detenzione di assets esteri: decadenza breve
di Massimiliano TasiniChe l’articolo 12 D.L. 78/2009, nel raddoppiare i termini per dar corso all’azione accertativa in materia di illecita detenzione di assets esteri, avrebbe generato un ampio dibattito non era difficile immaginarlo.
Più difficile era invece immaginarne l’esito.
Come sempre in questi casi, le due tesi sul tappeto sono quella sostanziale e quella procedimentale.
La prima tesi valorizza la natura innovativa della previsione, che incide sul delicato tema dell’onere della prova: sembra quindi irragionevole pretendere che una norma introdotta nel 2009 possa imporre una presunzione pro-fisco con riferimento al passato, perché una simile lettura sembra vulnerare il diritto di difesa costituzionalmente tutelato, nonchè ancora una volta travolgere lo Statuto del diritti del contribuente, che ben perimetra la possibilità di applicazione retroattiva delle norme.
L’altra tesi parte invece dal presupposto della (ritenuta) natura procedimentale del citato articolo 12 D.L. 78/2009, che, in quanto tale, opererebbe anche per le annualità anteriori all’entrata in vigore della norma. Questa tesi sarebbe confortata dall’interpretazione data dalla giurisprudenza sull’applicazione dell’articolo 43 D.P.R. 600/1973 in materia di raddoppio dei termini di accertamento nei confronti dei soggetti che avevano commesso violazioni comportanti in capo ai pubblici funzionari obbligo di denuncia di reato ex articolo 331 c.p.p..
Tra le due opposte tesi, quella che si è affermata è senza dubbio la prima.
Secondo la CTP Milano sez. 26, sentenza n. 8819/2016, all’interpretazione retroattiva della previsione osta proprio la natura sostanziale dell’articolo articolo 12 D.L. 78/2009, desumibile dalla circostanza che si tratta di previsione in materia di onere della prova, nonché il disposto dell’articolo 11 Disposizioni sulle leggi in generale.
Negli stessi termini è la CTR Milano, sez. 2, sentenza n. 692/2017 la quale valorizza la natura sostanziale (e non procedimentale) della norma. La disposizione di legge in commento, infatti, avendo introdotto una presunzione legale, ancorché relativa, di evasione, non può trovare applicazione con riferimento a fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore.
Dello stesso tenore è la CTP Lecco, sez. 2, sentenza n. 68/2017; la CTP Milano, sez. 1, sentenza n. 3216/2017; la CTP Milano, sez. 14, sentenza n. 2460/2017.
Anche la CTP Varese, sez. 3, sentenza n. 1/2017 perviene alla stessa conclusione, ma con un importante elemento di novità: i Giudici giustamente rimarcano che la disposizione in commento è priva di una previsione transitoria quale quella contenuta nell’articolo 37, comma 26, D.L. 223/2006 che ha introdotto la proroga dei termini di accertamento in presenza di fattispecie di rilevanza penal-tributaria (articolo 43 D.P.R. 600/1973 per le imposte dirette ed articolo 57 D.P.R. 633/1972 per l’Iva). Si ricorda che tale previsione ha stabilito che la proroga dei termini si applica alle annualità ancora “aperte” alla data di entrata in vigore della legge di conversione (L. 248/2006).
Naturalmente si registrano pronunce anche si segno opposto; tra queste la CTR di Milano, sezione staccata di Brescia, sez. 23, sentenza n. 2401/2017 (che si è invece espressa per la natura procedimentale della norma, con conseguente applicabilità retroattiva della stessa).
Si rammenta, tuttavia, che la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 2662/2018, si è pronunciata nel senso dell’inapplicabilità alle annualità precedenti al 2009 del nuovo articolo 12 D.L. 78/2009; si può pertanto constatare un sostanziale allineamento tra le pronunce prevalenti della giurisprudenza di merito e l’orientamento della Corte di Cassazione.
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