24 Settembre 2019

Illegittimo l’accertamento da studi di settore senza un grave scostamento

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

L’Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all’accertamento analitico-induttivo allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, ma solo quando venga ravvisata una grave incongruenza, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva – anche dall’articolo 10, comma 1, L. 146/1998, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio all’articolo 62-sexies, comma 3, D.L. 331/1993. È questo l’importante principio ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 23357 del 19.09.2019.

La fattispecie in esame prende le mosse dalla notifica alla società Alfa S.r.l. di un avviso di accertamento per maggiori Irpef, Irap ed Iva, relative all’anno di imposta 2004, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva accertato, sulla base degli studi di settore, maggiori ricavi determinati inizialmente in euro 112.620,00 e, all’esito del contraddittorio, in euro 61.941,00.

La società Alfa, ritenendo insufficiente la riduzione operata dall’Amministrazione finanziaria, proponeva ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale, in accoglimento delle sue doglianze, annullava l’avviso di accertamento impugnato.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, riformando la pronuncia di primo grado, statuiva che il contribuente non avesse fornito idonea prova contraria alle risultanze dello studio di settore, come modificato a seguito del contraddittorio procedimentale, e che l’antieconomicità della gestione imprenditoriale per alcuni anni di seguito giustificasse la rettifica della dichiarazione dei redditi ex articolo 39 D.P.R. 600/1973.

Pertanto, la società Alfa ricorreva con un unico motivo contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della pronuncia di secondo grado, eccependo la violazione dell’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 e degli articoli 62-bis e 62-sexies D.L. 331/1993, nonché l’omessa motivazione su di un fatto decisivo, consistente nella gravità dello scostamento tra ricavi accertati e dichiarati.

Più nel dettaglio, la società ricorrente evidenziava che il giudice di seconde cure avrebbe dovuto valutare la sussistenza o meno del grave scostamento tra i ricavi dichiarati e i ricavi accertati, così come rideterminati a seguito del contraddittorio procedimentale, che aveva portato ad un notevole ridimensionamento dell’originario risultato, basato sulla semplice applicazione automatica dello studio di settore, in maniera avulsa dalla specifica realtà imprenditoriale.

Ebbene, la Suprema Corte, in accoglimento dell’unica doglianza della parte ricorrente, ha affermato tout court che il giudice di appello ha omesso di valutare la sussistenza del grave scostamento tra i ricavi dichiarati e i ricavi accertati, che, in conseguenza della riduzione all’esito del contraddittorio con il contribuente, è pari solo al 5,68%, secondo quanto evidenziato dalla società.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale la normativa nazionale – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva – continua a fare riferimento al presupposto del grave scostamento in virtù del richiamo all’articolo 62-sexies, comma 3, D.L. 331/1993, che continua ad essere operato dall’articolo 10, comma 1, L. 146/1998, anche a seguito della novella apportata dalla L. 296/2006, che certamente non ne ha determinato un’abrogazione implicita.

Conseguentemente, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata, rinviando alla CTR Lombardia, in diversa composizione, per una valutazione della gravità di detto scostamento.

Quanto alla nozione di “grave scostamento”, si rammenta che recentemente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8855/2019, dopo aver precisato che essa varia a seconda di plurimi fattori quali la situazione economica, il periodo di riferimento, la storia commerciale del contribuente accertato e il segmento di mercato in cui opera, ha affermato che è possibile fare riferimento agli articoli 2, comma 1, lett. a) e 1, comma 2, lett. b), D.P.R. 570/1996, secondo cui sono gravi le contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati quando lo scostamento è superiore al 10% del valore complessivo delle voci interessate.

Infatti, sono stati ritenuti lievi, e quindi inidonei a fondare la rettifica induttiva, gli scostamenti del 7% (Cass., sent. 20414/2014), del 4,23% (Cass., sent. 17486/2017), del 10% (Cass., sent. 2637/2019) e, addirittura, del 21% (Cass., sent. 22946/2015).

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