Immobili in costruzione: “prima casa” e requisito di lusso
di Cristoforo FlorioAlcune recenti pronunce giurisprudenziali ci forniscono lo spunto per ragionare sulla decadenza dall’agevolazione “prima casa” contestata dall’Amministrazione finanziaria a seguito della verifica del requisito “di lusso” dell’immobile.
Si analizzerà, in particolare, il funzionamento della predetta agevolazione nell’ipotesi della compravendita di unità abitative in corso di costruzione/ristrutturazione, per le quali – essendo in itinere i lavori al momento della compravendita – la sussistenza del requisito di lusso può verificarsi solo in un momento successivo al trasferimento della proprietà, momento che è identificabile nell’ultimazione dei lavori.
Potrebbe infatti accadere che, a seguito della prosecuzione dei lavori, l’immobile muti la propria destinazione urbanistica oppure che si verifichi una fusione tra più unità immobiliari che determini la nascita di un nuovo e più ampio immobile o, più in generale, potrebbero perdersi le caratteristiche “non di lusso” per effetto di successive rifiniture apportate, con conseguenti contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Tale casistica presenta interessanti peculiarità sotto il profilo dell’accertamento tributario, specialmente nelle ipotesi in cui l’atto di trasferimento immobiliare sia stato perfezionato antecedentemente al 31 dicembre 2013 ma l’ultimazione dei lavori sia avvenuta successivamente a tale data. Ciò in considerazione del fatto che, a partire dal 1° gennaio 2014, è radicalmente mutato – ai fini dell’imposta di registro – il criterio di individuazione degli immobili di lusso, il tutto come meglio si dirà oltre.
Prima di addentrarci nell’esame della giurisprudenza, sintetizziamo la normativa vigente sul punto.
L’agevolazione “prima casa” consiste nella possibilità, per l’acquirente, di usufruire – in fase di acquisto di un immobile abitativo che non abbia i requisiti di lusso – di un’aliquota agevolata dell’imposta di registro e delle ipo-catastali oppure, in caso di vendita soggetta ad IVA, di una riduzione dell’aliquota IVA.
Tralasciamo in questa analisi gli altri requisiti previsti per usufruire dell’agevolazione in esame e concentriamoci sugli immobili in corso di costruzione o di ristrutturazione; si vuole in questa sede evidenziare che la normativa IVA contempla espressamente tra gli immobili che possono godere del trattamento agevolato le case di abitazione non di lusso, specificando che tra queste rientrano anche quelle non ultimate (Tab. A, parte II, n. 21, allegata al D.P.R. n.633/1972).
Diversamente dicasi, invece, in materia di imposta di registro, nell’ambito della quale non è prevista un’analoga disposizione.
Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria – con un’interpretazione estensiva – ha riconosciuto l’applicazione dei benefici “prima casa” agli immobili in corso di costruzione anche ai fini dell’imposta di registro con la circolare n. 19/E/2001, rifacendosi all’orientamento espresso in tal senso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9150 del 16 aprile 2000.
Ciò è stato confermato anche dalla successiva circolare n. 38/E/2005, nella quale è stato chiarito che l’agevolazione “prima casa” spetta anche per gli acquisti di fabbricati “in corso di costruzione” che presentino, seppure in fieri, le caratteristiche delle abitazioni non di lusso, fermo restando che – nell’atto di acquisto – il contribuente dovrà dichiarare di “non rendere l’abitazione di lusso nel prosieguo dei lavori”.
Tuttavia, un attento esame della Nota II bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n.131/1986 rivela che tra le “dichiarazioni” che l’acquirente è tenuto a rendere nell’atto di acquisto non vi è alcuna menzione della dichiarazione relativa ai requisiti di lusso (presenti o futuri) dell’immobile.
Ed invero la CTP di Udine, con sentenza n. 44 del 15 marzo 2013, ha dichiarato la non applicabilità delle sanzioni nel caso in cui l’immobile si riveli, successivamente, di lusso; ciò per il semplice fatto che non può ritenersi mendace (e, quindi, punibile) una dichiarazione che il contribuente non ha mai reso nell’atto pubblico.
Resta in ogni caso fermo il potere del Fisco di verificare l’effettiva esistenza dei requisiti, compreso quello riguardante la tipologia dell’immobile che dovrà risultare non di lusso. Con riguardo a tale ultimo aspetto va osservato che il termine triennale di decadenza degli Uffici dal potere di accertamento decorre dalla ultimazione dei lavori.
Ma come si fa a capire se un immobile è di lusso o meno? A decorrere dal 1° gennaio 2014, il requisito di lusso viene identificato in base all’accatastamento dell’unità in una delle seguenti categorie catastali: A1, A8 e A9. Laddove l’unità immobiliare appartenga ad una delle predette categorie catastali, l’immobile si considera automaticamente “di lusso”, senza necessità di effettuare alcuna ulteriore verifica. Fino al 31/12/2013, invece, rilevavano i parametri forniti dal D.M. 2 agosto 1969, il quale forniva una pluralità di casistiche per la qualificazione di lusso degli immobili; ad esempio, venivano considerate di lusso le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 oppure le abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq. di superficie.
Ciò detto, vediamo come si è orientata la giurisprudenza sul punto.
Le recenti sentenze della CTP di Pesaro n. 418 e n. 419 del 10 maggio 2016 hanno sostenuto che le regole di identificazione degli immobili di lusso vigenti dall’1/1/2014 hanno effetto retroattivo e valgono, pertanto, anche per il passato.
Tale tesi si inserisce nel solco tracciato dalla CTR di Roma n. 4449/2015, la quale – in relazione ad una decadenza dall’agevolazione “prima casa” per superamento dei metri quadri previsti dal D.M. del 1969 – aveva statuito che alla contestazione mossa successivamente al 1° gennaio 2014 deve applicarsi “(…) il principio di “abolitio criminis”, secondo cui “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile” (…)”.
Le tesi giurisprudenziali sopra esposte sono alquanto discutibili: una norma agevolativa dovrebbe essere applicata per il tempo in cui è in vigore; in altri termini, una compravendita stipulata nel 2013 (o precedentemente) deve essere soggetta alle norme agevolative allora vigenti (D.M. 2 agosto 1969); una transazione perfezionata nel 2014 va invece assoggettata alla regola del criterio della classificazione catastale sopra riportato.
Rispetto all’orientamento della giurisprudenza di merito, sono invece certamente più condivisibili le conclusioni raggiunte dalla Cassazione nell’ordinanza n. 13235/2016, nella quale viene osservato che, in ragione della disposizione sopravvenuta che ha mutato i criteri di identificazione degli immobili di lusso, la condotta che prima integrava una violazione fiscale non costituisce più presupposto per l’irrogazione della sanzione. Ne consegue che deve ritenersi applicabile alle ipotesi in esame il principio del favor rei. Pertanto, fermo restando il recupero della maggiore imposta, qualora sussista ancora la controversia sulla debenza delle sanzioni dovrà trovare applicazione il più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto.
Discorso diverso e più complesso è quello relativo al momento di “ultimazione dei lavori”; qualora infatti l’atto sia antecedente al 31/12/2013 ma l’ultimazione dei lavori sia successiva all’1/1/2014, si ritiene che vi siano i presupposti per sostenere che occorrerà fare riferimento alle regole vigenti al momento della fine dei lavori (e non al momento dell’atto di trasferimento). Solo in quel momento, infatti, sarà possibile capire se l’immobile sia o meno di lusso ed, evidentemente, tale verifica andrà fatta in base alla legislazione vigente in quel momento.