16 Marzo 2018

Immobiliari di costruzione: “carico” e “scarico” di magazzino

di Cristoforo Florio
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Le società immobiliari di costruzione hanno quale oggetto sociale principale quello di costruire/ristrutturare immobili di proprietà per poi rivenderli a terzi.

Un tema particolarmente delicato per tali soggetti, sia sotto il profilo civilistico che relativamente agli aspetti tributari, riguarda indubbiamente l’utilizzo di corretti principi di valutazione delle rimanenze di magazzino che, nel caso di specie, sono rappresentate dai fabbricati in corso di costruzione/ristrutturazione o, in caso di lavori ormai ultimati, di fabbricato finiti e pronti alla vendita.

Con il presente contributo ci concentreremo sui possibili criteri adottabili da parte di tali società al fine di ripartire il costo di costruzione globale dell’intero fabbricato sulle singole unità immobiliari facenti parte di quest’ultimo, con particolare riguardo alla connessa operazione di “scarico” delle rimanenze di magazzino dello stato patrimoniale che si rende necessaria ogni qualvolta la singola unità immobiliare venga venduta, imputando la variazione delle rimanenze di prodotti finiti nel valore della produzione del conto economico.

Il codice civile stabilisce, all’articolo 2426, comma 1, n. 9, che le rimanenze sono iscritte in bilancio(…) al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore (…)”.

Secondo il richiamato punto 1), “(…) nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori (…)”.

Al riguardo l’Oic 13 – emanato con lo scopo di disciplinare i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione delle rimanenze di magazzino, nonché le informazioni da presentare nella nota integrativa – specifica che “(…) per costo di acquisto si intende il prezzo effettivo d’acquisto più gli oneri accessori (…)”, laddove gli oneri accessori sono rappresentati da “(…) tutti i costi collegati all’acquisto e i costi sostenuti per portare il bene nel luogo e nelle condizioni attuali (…)”.

Con riferimento al “costo di produzione” la disposizione civilistica sopra richiamata stabilisce che esso “(…) comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto (…)” e “(…) può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato (…)”.

Infine, la norma del codice civile dispone che, con gli stessi criteri sopra delineati, “(…) possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi (…)”.

Al riguardo, il principio contabile Oic 13 prevede una regola generale di esclusione degli oneri finanziari dalla determinazione del costo delle rimanenze, ammettendo la loro “capitalizzazione” nel valore del magazzino finale “(…) solo con riferimento a beni che richiedono un periodo di produzione significativo (…)” (e gli immobili sono suscettibili di rientrare in tale ipotesi, salvo casi eccezionali) ed individuando un limite massimo a tale procedimento nel “(…) valore realizzabile del bene desumibile dall’andamento del mercato (…)”.

Nell’ambito della fabbricazione di immobili possiamo annoverare tra i costi diretti di produzione/costruzione, ad es., il costo dei materiali e delle materie prime utilizzate (cemento, ghiaia, sabbia, silicio, calce, gesso, tegole, mattoni, manufatti e prefabbricati, ecc.), il costo della manodopera dipendente (comprensivo degli oneri accessori, quali i contributi previdenziali a carico ditta, la cassa edile, ecc.), i costi dei servizi resi in base a contratti di appalto (le fatture di artigiani edili, idraulici, impiantisti, ecc.), i costi relativi al noleggio di specifiche attrezzature (gru, carrelli elevatori, ecc.).

Con riferimento, invece, ai costi indiretti di produzione del fabbricato, essi accolgono tutti i costi di produzione “comuni”, tra cui possiamo annoverare gli stipendi ed i salari (comprensivi dei relativi oneri a carico ditta) afferenti la mano d’opera indiretta, gli ammortamenti dei cespiti, i materiali di consumo, le spese effettivamente sostenute per la produzione del bene (gas, luce, acqua, ecc.), fermo restando che – secondo il richiamato principio Oic 13 – contribuiscono a formare il valore delle rimanenze finale “(…) tutti i costi di produzione comuni necessari per portare le rimanenze di magazzino nelle condizioni e nel luogo attuali (…)” mentre sono esclusi i costi generali ed amministrativi ed i costi di distribuzione.

Nel caso degli immobili, il metodo principe per la determinazione del costo dei beni è quello del “costo specifico”, in base al quale devono essere individuati e attribuiti alle singole unità fisiche i costi specificamente sostenuti per la costruzione/ristrutturazione delle unità medesime.

Tale metodo è, peraltro, quello preferito dal codice civile e viene recepito anche dal legislatore tributario, all’articolo 92, comma 1, Tuir.

Tutto quanto sopra premesso, nel corso della costruzione la società immobiliare “carica” i costi di produzione, diretti e indiretti, sul “cantiere”, che rappresenta la singola voce di rimanenza di magazzino iscritta in stato patrimoniale; in tale fase il fabbricato è un unicum, non essendo ancora nate – né urbanisticamente né catastalmente – le singole unità immobiliari che lo compongono (unità abitative, box e posti auto, cantine, ecc.).

Una volta venute ad esistenza tali unità si pone il problema della ripartizione del costo globale sui singoli beni, operazione che si rende dovuta nella maggior parte dei casi, tranne che nell’ipotesi di vendita “in blocco” dell’intero fabbricato.

Tale procedimento è di particolare rilevanza in quanto se, in una prima fase, si tratta semplicemente di “spalmare” il costo complessivamente capitalizzato negli esercizi precedenti sui singoli beni realizzati, lo “scarico” del magazzino derivante dalla compravendita di una o più unità immobiliari è suscettibile di influenzare il risultato d’esercizio (civilistico e fiscale); esso rappresenta, di fatto, un componente negativo di reddito che si contrappone al prezzo di vendita dell’unità immobiliare nell’esercizio in cui viene stipulato l’atto definitivo di compravendita immobiliare (rogito notarile), con conseguente emersione del margine (positivo o negativo) dell’operazione.

È di tutta evidenza dunque che, per nell’operazione di ripartizione, occorre attenersi quanto più è possibile a dei parametri oggettivi, quali la superficie catastale delle unità, le quote millesimali, la cubatura, la rendita catastale, fino ad arrivare – se del caso – ad una perizia valutativa.

Sarà inoltre necessario fare una valutazione del grado di omogeneità, in termini di valore, delle varie unità immobiliari costruite/ristrutturate, le quali potrebbero presentare delle differenze in termini di valore economico di mercato, in funzione delle loro peculiarità (la destinazione d’uso, la presenza della “vista mare”, il piano cui è situata l’unità immobiliare, ecc.).

Il metodo della ripartizione del costo globale fondato sui metri quadri ha il pregio della semplicità ma potrebbe trascurare il reale valore dei singoli immobili; tale metodo, ad es., valorizza un’unità abitativa alla stessa stregua di un’unità destinata ad uso box auto o cantina.

L’utilizzo delle quote millesimali si presenta decisamente quale metodo più evoluto rispetto al computo in base ai metri quadri, in quanto le predette quote tengono conto delle parti comuni condominiali e, inoltre, sono determinate applicando degli specifici “coefficienti di riduzione” della singola unità (di destinazione, di orientamento, di prospetto, di luminosità, di piano e di funzionalità globale dell’alloggio).

Lo stesso dicasi per la metodologia fondata sulla ripartizione del costo in base alle rendite catastali delle singole unità immobiliari, in quanto la rendita tiene conto del numero dei vani, della superficie nonché della volumetria dell’unità immobiliare e, infine, è agganciata alla tariffa di estimo relativa alla zona censuaria in cui è situato l’immobile e alla sua tipologia.

Da ultimo va ricordato che il problema della ripartizione dei costi di costruzione del fabbricato è presente anche nel mondo Iva e, in particolare, al comma 8 dell’articolo 19-bis2 D.P.R. 633/1972, in base al quale – ai fini dell’effettuazione della rettifica della detrazione – l’imputazione dell’Iva relativa ai fabbricati ovvero alle singole unità immobiliari soggette a rettifica “(…) deve essere determinata sulla base di parametri unitari, costituiti dal metro quadrato o dal metro cubo, o da parametri similari, che rispettino la proporzionalità fra l’onere complessivo dell’imposta relativa ai costi di acquisto, costruzione o ristrutturazione, e la parte di costo dei fabbricati o unità immobiliari specificamente attribuibile alle operazioni che non danno diritto alla detrazione dell’imposta (…)”.

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