Confrontando la norma interna con quella comunitaria pare evidente che la prima non sia allineata alla seconda, che qualifica l’operazione, nella sua interezza, come territorialmente rilevante nel Paese UE in cui avviene l’installazione o il montaggio, escludendo pertanto che il fornitore possa applicare alla cessione il titolo di non imponibilità previsto per le cessioni intracomunitarie, siccome rilevanti – come evidenziato dalla Corte di giustizia nella causa C-446/13 del 2 ottobre 2014 – nel Paese di partenza dei beni, anziché in quello del loro arrivo.
Nelle cessioni in esame accade con una certa frequenza che singoli componenti dell’impianto o del macchinario realizzato in Italia siano acquistati direttamente in loco per essere poi installati o montati dal fornitore non residente, al quale può essere affidato (eventualmente) l’incarico di eseguire l’installazione o il montaggio dell’intero impianto o macchinario per conto dell’impresa italiana. È il caso, per esempio, in cui l’ordine di acquisto da parte del cliente comunitario preveda anche la consegna di un impianto antincendio che, in ragione della diverse norme di sicurezza vigenti nel Paese membro in cui il medesimo deve essere installato, viene acquistato da un fornitore locale.
Nella situazione considerata, quest’ultimo addebita all’impresa italiana l’IVA relativa ai componenti ceduti, in quanto sussiste il presupposto territoriale di cui all’art. 31 della Direttiva n. 2006/112/CE, previsto per le cessioni di beni senza trasporto.
Il recupero dell’imposta con la procedura di rimborso di cui all’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972 presuppone che l’impresa italiana, nel periodo di riferimento dell’istanza (non inferiore a tre mesi e non superiore all’anno solare), non abbia effettuato operazioni attive in quel Paese diverse da quelle espressamente consentite, tra le quali figurano le operazioni con reverse charge da parte del cessionario.
Per il fornitore italiano, si pone pertanto il problema di stabilire se la rivendita dei componenti debba essere autonomamente assoggettata ad imposta previa apertura di un numero di partita IVA, nel qual caso il rimborso resterebbe automaticamente precluso.
In via generale, per i beni destinati ad essere installati o montati, i vari Paesi membri prevedono l’applicazione del reverse charge. Di conseguenza, è possibile ritenere che il fornitore italiano, in sede di rivendita dei componenti acquistati in loco, non sia tenuto ad identificarsi ai fini IVA direttamente o per mezzo di un proprio rappresentante fiscale e che, quindi, il rimborso possa essere chiesto in base alla disciplina contemplata dal citato art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972.
Più in dettaglio, in merito al rapporto tra l’impresa italiana ed il suo cliente comunitario, per rispettare la previsione di non imponibilità richiamata dall’art. 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993, occorre valorizzare distintamente, in sede di fatturazione:
- il corrispettivo dei componenti inviati dall’Italia (comprensivo di installazione), soggetto al regime di non imponibilità, e
- il corrispettivo dei componenti acquistati in loco (comprensivo di installazione), escluso da IVA ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 siccome imponibile nel Paese UE in cui gli stessi vengono installati o montati.
In definitiva, l’imposta, sull’intero corrispettivo, è assolta dal cliente non residente, ma – attraverso la distinta valorizzazione dei componenti provenienti dall’Italia rispetto a quelli acquistati da fornitori locali – si evita di incrementare illegittimamente il plafond disponibile per l’impresa italiana.
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