19 Febbraio 2021

Imposta di registro dovuta anche se l’esecutorietà del decreto ingiuntivo è sospesa

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

In tema di imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo è assoggettato ad imposta anche se, in pendenza del giudizio di opposizione, l’esecutorietà dello stesso venga sospesa; ciò perché solo l’intervento di una decisione definitiva che, all’esito del giudizio di opposizione, revochi o annulli o dichiari la nullità del decreto ingiuntivo opposto esclude la debenza del tributo ex articolo 37 D.P.R. 131/1986.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 4327, depositata ieri 18 febbraio 2021, in conformità all’orientamento di legittimità secondo cui soltanto una sentenza passata in giudicato può porre nel nulla l’imposizione (cfr., Cassazione, sentenza n. 11663 del 17.09.2001).

La vicenda in esame trae origine dalla notifica di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro, relativo ad un decreto ingiuntivo emesso con la formula della provvisoria esecuzione.

La società destinataria proponeva ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, assumendo che l’imposta di registro non fosse dovuta poiché, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, la provvisoria esecutorietà dello stesso era stata “revocata”.

Detta impugnativa veniva rigettata e, così, veniva proposto gravame dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, a conferma della decisione di primo grado, rilevava che l’articolo 37 D.P.R. 131/1986 impone il pagamento dell’imposta di registro anche se l’atto giudiziario è stato impugnato. Detto in altri termini, si evidenziava che, a prescindere dalla proposizione dell’opposizione, ciò che rileva è che il decreto ingiuntivo fosse stato emesso con la formula della provvisoria esecutorietà, risultando del tutto irrilevante la circostanza che quest’ultima fosse stata poi sospesa.

Pertanto, la società soccombente proponeva ricorso per cassazione, censurando la sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

In particolare, la ricorrente lamentava che la CTR Lazio avesse erroneamente ritenuto che la “sospensione” dell’ingiunzione non corrispondesse alla “revoca” della stessa, considerato invece che, quanto agli effetti, esse dovevano considerarsi equivalenti, dal momento che il decreto ingiuntivo non solo era stato impugnato, ma aveva anche perso la sua efficacia esecutiva.

Pertanto, in applicazione dell’articolo 8 D.P.R. 131/1986, l’avviso di liquidazione avrebbe dovuto essere annullato.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha chiarito immediatamente come non si dovesse fare confusione tra revoca (cui faceva riferimento la società ricorrente) e sospensione dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo.

Infatti, i giudici di vertice hanno affermato che, nel caso di specie, non si ponesse la questione degli effetti fiscali della revoca del decreto ingiuntivo operata all’esito del giudizio di opposizione con statuizione oramai definitiva, quanto piuttosto quella di un decreto ingiuntivo munito della clausola della provvisoria esecutorietà, poi “sospesa” in pendenza del giudizio di opposizione.

Ciò detto, si è evidenziato come, ai fini della risoluzione della vexata quaestio posta dalla società ricorrente, apparisse dirimente il disposto dell’articolo 37, comma 1, D.P.R. 131/1986, secondo cui: «Gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili, che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l’atto di conciliazione giudiziale e l’atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l’amministrazione dello Stato».

Da quanto sopra consegue che, perché sorga l’obbligo di pagare l’imposta di registro, non è necessario che sia adottato un provvedimento definitivo, essendo sufficiente l’esistenza di un atto tra quelli non appena elencati (quali, per l’appunto, un decreto ingiuntivo esecutivo), ferma restando l’operatività dei conguagli e dei rimborsi a seguito dell’adozione di una sentenza passata in giudicato.

Detto in altri termini, se, da un lato, è espressamente previsto come presupposto impositivo non solo l’adozione di un decreto ingiuntivo, ma anche che lo stesso sia esecutivo, dall’altro, il riferimento alla sentenza passata in giudicato postula che il rimborso possa avvenire solo nel caso in cui il decreto ingiuntivo sia definitivamente revocato e non anche quando la sua esecutorietà sia soltanto sospesa.

D’altronde, come anticipato, sin dal lontano 2001 la Corte di Cassazione aveva affermato che soltanto una sentenza passata in giudicato può porre nel nulla l’imposizione (cfr., Cassazione, sentenza n. 11663 del 17.09.2001).

Dunque, così come affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in rassegna: «Ciò significa che le vicende del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, che si verificano nel corso del giudizio di opposizione, non incidono sulla legittimità dell’avviso di liquidazione, assumendo rilievo, nei termini sopra indicati, solo l’adozione di una decisione definitiva che ponga nel nulla tale atto».

Sulla scorta di tali argomentazioni, quindi, il ricorso in Cassazione proposto dalla società contribuente è stato rigettato, con conseguente conferma della legittimità dell’avviso di liquidazione impugnato.