18 Aprile 2019

In Gazzetta il decreto allevamento per il biennio 2018-2019

di Luigi Scappini
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È stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 80 del 4 aprile 2019, il decreto Mef del 15 marzo 2019 con il quale viene definito il reddito derivante dall’attività di allevamento per il biennio 2018-2019.

Come noto, l’allevamento di animali rientra tra le 3 attività agricole ex se il cui esercizio riconosce la qualifica di imprenditore agricolo.

La riforma del 2001 ha apportato alla definizione di imprenditore agricolo alcune importanti novità che hanno comportato alcuni effetti anche in riferimento agli aspetti fiscali connessi all’esercizio dell’attività agricola.

Per quanto riguarda l’allevamento è stata risolta la problematica emersa con la precedente definizione, che prevedeva l’allevamento di bestiame, sostituendo tale termine con quello più generico di animali.

In tal modo non ci si è più posti la domanda se, ad esempio, gli animali cd. di bassa corte quali galline, faraone, rientrassero o meno in un concetto di allevamento.

Tuttavia, bisogna sempre avere a mente come, se è vero che una delle novità è la possibilità di intervenire solamente in una parte, seppur significativa del ciclo biologico, l’ulteriore innovazione consiste nella derubricazione del fondo da elemento imprescindibile a potenziale.

La nuova definizione di attività agricola, infatti, stabilisce che le attività debbono potenzialmente ma non obbligatoriamente essere svolte sul fondo, tuttavia la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12394/2017 ha sottolineato come “potenzialità” non vuol dire assoluta assenza di connessione logica tra animale allevato e terreno (nel caso di specie la sentenza verteva sull’allevamento di cani da affezione).

Calando l’analisi da un punto di vista di imposizione diretta le condizioni cambiano in quanto, in assenza di terreni, il reddito, a prescindere da qualsivoglia considerazione, deve essere obbligatoriamente determinato analiticamente quale contrapposizione tra costi e ricavi di competenza.

In presenza di terreni, al contrario, si dovrà andare a verificare, in primis, per effetto di quanto previsto dall’articolo 32 Tuir, la tipologia di animali allevati.

Proprio il decreto Mef del 15 marzo 2019 individua quali siano le tipologie di animali il cui allevamento, al rispetto di altri parametri, determina la produzione di un reddito agrario.

Rispetto al precedente decreto del 15 giugno 2017, sono state introdotte ulteriori tipologie di animali quali le tartarughe, gli alpaca e i lama.

Il passaggio successivo consiste nel verificare la capienza dei propri terreni, infatti, l’articolo 32 Tuir, stabilisce che l’allevamento di animali produce un reddito agrario a condizione che sia esercitato con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno.

Il termine ottenibili comporta che l’imprenditore non ha l’obbligo di alimentare gli animali allevati con mangime ritratto dalla coltivazione dei propri terreni, ma introduce un limite di capi allevabili, il tutto per porre un freno a un’attività che il Legislatore è ben conscio di come l’evoluzione nelle tecniche ha portato a essere di tipo intensivo.

E se non fosse introdotto un argine, superato il quale il reddito assume diversa natura, verrebbe meno il già flebile collegamento con il reddito agrario che si ricorda rappresenta la “parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso”.

Nel caso di incapienza del reddito agrario e quindi di allevamento di capi eccedenti, il Legislatore, per effetto di quanto previsto dall’articolo 56, comma 5, Tuir, stabilisce che il reddito relativo alla parte eccedente viene determinato attribuendo a ogni capo “un reddito pari al valore medio del reddito agrario riferibile a ciascun capo allevato entro il limite medesimo, moltiplicato per un coefficiente idoneo a tener conto delle diverse incidenze dei costi.”.

Il decreto del 15 marzo 2019 individua tale coefficiente in misura pari a 2, che non si rende applicabile, per espressa previsione normativa nell’ipotesi di allevatori che si avvalgono esclusivamente dell’opera di propri familiari quando, in ragione della natura del rapporto, non si configuri l’impresa familiare.

Tale regime rappresenta una facoltà e non un obbligo, essendo possibile optare per la determinazione del reddito secondo le regole ordinarie.

Si ricorda infine come il regime così delineato non si rende applicabile alle società agricole ex D.Lgs. 99/2004 che possono optare per la determinazione del reddito secondo le regole di cui all’articolo 32, Tuir, ma, in caso di sforamento, non anche del successivo articolo 56, comma 5, Tuir.

In ragione di ciò, tali soggetti, pur rimanendo imprenditori agricoli (infatti l’articolo 2135, cod. civ. non pone limiti nei capi allevabili), dovranno dichiarare, per l’eccedenza, obbligatoriamente un reddito di impresa determinato analiticamente.

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