In tema di responsabilità aggravata nel processo tributario
di Massimiliano TasiniPatrizia Pellegrini
L’art. 96 c.p.c. disciplina la responsabilità aggravata (recte, risarcitoria) a carico della parte che ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave.
Tale ipotesi è verificabile solamente nel caso in cui chi ha agito o resistito in giudizio abbia posto in essere un abuso del diritto (legittimo, di azione) esercitato, cioè abbia esercitato quel diritto al di fuori del suo schema tipico (atto illegittimo), ovvero al di là dei limiti determinati dalla sua funzione (malafede processuale, cd temerarietà della lite). La legge, nel prendere atto di questa illiceità e ponendola a fondamento del risarcimento del danno conseguente, equipara ad essa la colpa grave, cioè la mancanza della pur minima avvedutezza e consapevolezza delle conseguenze dei propri atti. Altresì, atteso che l’illecito de qua si consuma nell’abuso di uno strumento processuale, la domanda di risarcimento, che postula una specifica causa petendi, è configurabile unicamente nell’ambito di quel processo, di fatto esaurendosi in un potere endoprocessuale collegato e connesso all’azione od alla resistenza esercitata in quel processo.
La legge 69/2009 ha aggiunto all’art. 96 il comma 3 che attribuisce al giudice il potere, esercitabile anche d’ufficio, ed “in ogni caso” (dunque, anche prescindendo dalla temerarietà e/o dalla dimostrazione del danno patito e financo dalla richiesta che ne abbia fatto la parte, ancorchè con valutazione discrezionale da parte del giudice), di condannare la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata.
Nel processo tributario, è dedotta l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. in forza del generale rinvio alle norme del codice di rito contenuto nell’art. 1 del D. Lsg 546/92, avuto altresì riguardo alla circostanza che le pretese risarcitorie, pur non avendo ad oggetto accessori del tributo (per tali dovendosi intendere gli aggi dovuti all’esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori, il maggior danno da svalutazione monetaria), presentano, tuttavia, un immediato e diretto nesso causale con l’atto tributario impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto tributario il quale non è esaurito, ma anzi costituisce l’oggetto del giudizio (sia pure limitatamente al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere con l’atto medesimo) (così, Cass. 13899/2013).
In buona sostanza, con la pronuncia citata gli Ermellini hanno affermato che l’art. 96 c.p.c., il quale disciplina un fenomeno endoprocessuale e non un diritto di azione, è idoneo a sostenere la competenza a decidere sulla condanna per lite temeraria in capo al giudice tributario nell’ambito dello stesso giudizio in cui si deduce la ritenuta responsabilità della parte.
Quel che qui rileva, è l’applicabilità del terzo comma dell’art. 96 codice di rito al processo tributario, in forza del quale è accordato al giudice il potere (discrezionale) di liquidare in via equitativa al contribuente vittorioso una somma a titolo di risarcimento del danno subito per effetto dell’agire temerario dell’Ufficio, indipendentemente ed a prescindere dalla specifica richiesta che ne abbia fatto la parte.
Sul punto, merita osservare che la Cassazione citata estende il concetto di responsabilità processuale (dell’Amministrazione Finanziaria) anche all’attività svolta in fase amministrativa in tutti i casi in cui abbia reso necessaria l’instaurazione di un ingiusto processo.
Si osserva ancora, ed infine, che ricondurre la previsione dell’art. 96 c.p.c. ad un fenomeno endoprocessuale piuttosto che ad un diritto di azione realizza, altresì, finalità di economia processuale.