Inammissibile il ricorso per Cassazione privo dell’esposizione del fatto
di Angelo GinexÈ inammissibile il ricorso per Cassazione contenente direttamente l’illustrazione dei motivi e privo dell’esposizione del fatto: in tal caso non può dirsi osservato il requisito previsto dall’articolo 366, n. 3, cod. proc. civ., in quanto l’atto d’impugnazione in sede di legittimità deve essere tale da garantire ai giudici di legittimità una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale conseguente.
È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 18719, depositata ieri 1° luglio.
Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine da un’azione di risarcimento danni intrapresa dal conduttore di un immobile per l’omessa manutenzione a carico del locatore.
Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda stabilendo che il canone di locazione dovesse essere ridotto. In particolare, sulla scorta della CTU, era emerso che l’immobile locato con i due contratti di locazione non corrispondesse a quello effettivamente consegnato e goduto, dovendo essere quello catastale di consistenza metrica maggiore.
La Corte d’Appello, invece, riteneva che il Tribunale fosse caduto in errore, in quanto l’unico contratto in atti non individuava catastalmente il bene locato e che il criterio della corrispondenza catastale non poteva dire con certezza quale fosse la volontà delle parti.
Pertanto, il conduttore proponeva ricorso in Cassazione lamentando, tra gli altri motivi, la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1575, 1576, 1578, 1581, 2697 cod. civ. e omessa, insufficiente, contraddittoria, apodittica motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 n.3, 4 e 5 cod. proc. civ. rispetto alla statuizione di mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell’onere di provare i fatti costitutivi del diritto azionato.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva erroneamente preteso la prova di una diminuzione apprezzabile dell’uso e del concreto minore godimento che, invece, avrebbe dovuto considerarsi in re ipsa. Inoltre non era stato tenuto in considerazione che la volontà delle parti era nel senso di locare l’intero immobile e non solo una parte di esso e che il locatore avrebbe dovuto dimostrare che contrariamente a quanto pattiziamente previsto, la locazione aveva ad oggetto solo una parte dell’immobile.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso per le ragioni che seguono.
Innanzitutto, i giudici di vertice sottolineano che il ricorso non contiene una parte dedicata all’assolvimento del requisito dell’esposizione del fatto di cui all’articolo 366, comma primo, n.3, cod. proc. civ., in quanto, dopo l’intestazione, l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata, contiene direttamente l’illustrazione dei motivi.
La Cassazione precisa che l’esposizione sommaria dei fatti di causa, essendo considerata dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve essere tale da garantire ai giudici di legittimità una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale conseguente, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti, seppur in suo possesso, compresa la sentenza impugnata (cfr. Cass. Sez. Un. Sent. 18.05.2006, n. 11653).
Infatti, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366, comma primo, n.3 cod. proc. civ, è necessario che il ricorso per Cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e delle argomentazioni essenziali, in fatto ed in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello ed infine del tenore della sentenza impugnata (cfr. Cass. ord. 3.11.2020 n. 24432).
Conclude la Corte affermando che, nel caso di specie si fa riferimento a due contratti di locazione senza specificare come si pongano l’uno rispetto all’altro; non è riportata la statuizione del Tribunale di primo grado; non sono stati riportati i motivi di appello, né la statuizione del giudice di secondo grado.
Quanto ai motivi avanzati con il ricorso in esame, la Corte afferma che: «il primo motivo non è comprensibile; […] dall’illustrazione del secondo motivo si intuisce che il ricorrente pone erroneamente sullo stesso piano la ricorrenza della responsabilità con la prova del danno; il terzo motivo, oltre a non rispettare neppure le prescrizioni di cui all’articolo 366, comma 6, cod. proc. civ., si limita ad affermare assertivamente che la volontà delle parti era chiara».