Incasso giuridico tra certezze e dubbi
di Alessandro BonuzziLa tesi dell’incasso giuridico ha da sempre fatto discutere gli addetti ai lavori e creato non pochi problemi alle società e ai loro soci.
Il principio è stato introdotto dall’Amministrazione finanziaria, la quale, con la C.M. 73/E/1994, ha affermato che la rinuncia, da parte del socio, di crediti vantati verso la società, correlati a redditi tassati per cassa, presuppone l’incasso – appunto giuridico – dei crediti medesimi in capo al socio stesso, con conseguente obbligo di tassazione dell’importo rinunciato.
È il caso, ad esempio, del socio-amministratore persona fisica che, con l’obiettivo di patrimonializzare la società partecipata, rinuncia al TFM.
L’Agenzia delle Entrate è tornata ad occuparsi della questione con la recente risoluzione 124/E/2017 riguardante una fattispecie in cui i quattro amministratori – persone fisiche non imprenditori – di una Srl hanno rinunciato al proprio TFM al fine di accrescerne il patrimonio.
In particolare, il consiglio di amministrazione era composto da 2 amministratori-soci e 2 amministratori non soci. Interpellata in merito al trattamento fiscale da applicare ai soci e alla società, l’Agenzia ha precisato che:
- con riferimento ai rapporti amministratori-soci e società, la Srl non deve tassare alcuna sopravvenienza attiva ma i crediti rinunciati devono essere assoggettati a tassazione in capo ai soci-amministratori in applicazione dell’incasso giuridico, con conseguente incremento del valore fiscale delle loro partecipazioni;
- con riferimento ai rapporti amministratori-non soci e società, la Srl, laddove abbia dedotto gli accantonamenti TFM nei periodi d’imposta di maturazione, deve tassare la sopravvenienza attiva emergente e gli amministratori non scontano alcuna imposizione.
Dal documento di prassi si comprende che il meccanismo dell’incasso giuridico è volto a evitare un salto d’imposta consistente nella circostanza che, per effetto della rinuncia del credito da parte del socio, si incrementa il valore fiscale della sua partecipazione nella società. Difatti, precisa la risoluzione, “per gli amministratori non soci, in assenza di una contropartita e non potendo incrementare il valore della partecipazione, il principio del cd. incasso giuridico non si applica ed essi non saranno assoggettati ad alcuna imposizione fiscale”.
Nonostante la tesi del Fisco sia per certi versi logica e, quindi, sembrerebbe funzionare nei pesi e contrappesi, vi sono alcune argomentazioni che, se considerate, potrebbero portare a ritenerla non del tutto ragionevole.
In primo luogo l’assenza di un fondamento normativo: l’incasso giuridico è un istituto creato dall’Agenzia. Al contrario, la disposizione di riferimento – collocata all’interno del Tuir tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente – stabilirebbe che sono soggetti a tassazione “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore” (articolo 50, comma 1, lettera c-bis), Tuir). Sicché, nell’ipotesi di rinuncia al TFM, mancando il presupposto della cassa, non dovrebbe emergere alcuna materia imponibile in capo all’amministratore. Peraltro, lo stesso concetto varrebbe nel caso dell’amministratore professionista ai sensi dell’articolo 54, comma 1, Tuir; va, infatti, tenuto presente che l’incasso giuridico trova applicazione anche in quest’ultima ipotesi.
Inoltre, va considerato che la rinuncia non comporta alcuna monetizzazione del credito, ma al più l’incremento del valore della partecipazione posseduta dal socio. A parere della FNC, “che tale situazione non possa considerarsi equivalente a quella dell’incasso del compenso correlato al credito rinunciato è comprovato dalla circostanza che all’atto del definitivo realizzo della partecipazione il maggior valore rappresentato dal credito potrebbe essere svanito e non è certo che si tramuti in un incasso effettivo di un corrispettivo in denaro o in natura di ammontare corrispondente, per cui per un reddito tassabile per cassa sarebbe irrazionale prelevare l’imposta sin dall’epoca della rinuncia, e tale irrazionalità è tanto più evidente e marcata quanto maggiore è il lasso di tempo che intercorre tra la rinuncia del socio al credito e il successivo realizzo della partecipazione” (Documento FNC 30.6.2016).
In termini più pratici, applicando l’incasso giuridico, si arriva a tassare un soggetto – il socio rinunciante – che probabilmente non ha nemmeno le risorse finanziarie per far fronte all’obbligazione tributaria non avendo percepito alcunché. Proprio quest’ultima riflessione fa capire che l’indirizzo dell’Agenzia “traballa” sotto il profilo dell’equità e della capacità contributiva.
Seppur tutte queste argomentazioni parrebbero idonee quantomeno a “scalfire” la posizione del Fisco, non è però di questo avviso la giurisprudenza che in più riprese ha avvallato la tesi dell’incasso giuridico. La stessa risoluzione AdE 124/E/2017 cita l’ordinanza n. 1335/2016 della Cassazione riguardante proprio le rinunce a crediti derivanti dalle indennità di fine mandato spettanti a due soci-amministratori.
Pertanto, almeno in attesa di un auspicabile dietrofront dei giudici di legittimità, per non incorrere in contestazioni difficilmente contrastabili, non resta che adeguarsi all’indirizzo dell’Agenzia.