Incertezza normativa: la Cassazione definisce le linee guida
di Davide Albonico“Costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione.”
Queste, in sintesi, le conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18405 del 12.07.2018, che, con una sorta di decalogo, arriva ad enucleare i fatti indice dell’incertezza normativa.
Ripercorrendo i fatti di causa, la controversia origina in esito alle risultanze di un avviso di accertamento relativo all’anno 2001, nel quale venivano accertate le maggiori imposte Irpeg e Irap e veniva irrogata la relativa sanzione pecuniaria.
In particolare, l’Agenzia delle entrate aveva contestato la violazione dell’articolo 60, comma 2, Tuir, vigente ratione temporis (ora articolo 93 Tuir), relativo alla valutazione delle rimanenze finali di “opere, forniture e servizi di durata ultrannuale”. Nell’ambito di un contratto stipulato per la fornitura e messa in orbita di un satellite, era stato convenuto che il prezzo pattuito sarebbe stato corrisposto in rate in corrispondenza di determinate fasi della produzione certificate di volta in volta dalla committente.
Secondo l’ufficio la valutazione delle rimanenze avrebbe dovuto essere effettuata in base ai corrispettivi liquidati, ai sensi dell’articolo 60, comma 2, ultima parte, Tuir (“…la valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti…”).
La società contribuente aveva invece effettuato una valutazione sulla base dei corrispettivi pattuiti, ai sensi dell’articolo 60, comma 2, prima parte, Tuir (“…per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati…”). Difatti, a parere della contribuente gli importi incassati nell’anno non potevano essere qualificati a titolo di corrispettivi liquidati in corrispondenza di specifici stati di avanzamento lavori, ma dovevano essere qualificati quali meri acconti che non potevano concorrere alla formazione del risultato economico dell’esercizio in quanto rappresentavano operazioni finanziarie che determinavano semplici rapporti di debito e credito tra le due parti contraenti.
La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso. Di diverso avviso invece la Commissione tributaria regionale del Lazio, alla quale l’Agenzia delle entrate si era appellata, che, riformando la sentenza di primo grado, riteneva che le somme percepite dalla contribuente nell’anno di imposta si dovevano considerare remunerazione dei lavori fino a quel momento eseguiti e pertanto capaci di soddisfare le esigenze dell’utilizzatore finale. Inoltre, secondo la CTR non sussistevano nemmeno le condizioni di incertezza richieste dall’articolo 8 D.Lgs. 546/1992, e dall’articolo 6, comma 2, D.Lgs. 472/1997, di cui alla domanda subordinata della società resistente intesa ad ottenere la disapplicazione delle sanzioni.
Avverso tale decisione la società contribuente ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata interpretazione del giudice d’appello nel ritenere che non sussistessero i presupposti per la disapplicazione delle sanzioni, in quanto, nel caso di specie, non era ravvisabile quella chiarezza della formulazione letterale della norma necessaria per escludere una situazione di incertezza oggettiva.
Le conclusioni dei giudici della Suprema Corte di Cassazione non lasciano più spazio ad alcun dubbio. A parere della Corte, nella fattispecie in questione, sussistono le obiettive condizioni di incertezza che giustificano la disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie, in quanto
- la norma in sé è poco chiara e
- la prassi dettata dall’amministrazione finanziaria con circolari e note è assente o contrastante.
In via preliminare, i giudici di legittimità hanno richiamato diversi precedenti giurisprudenziali sul tema (cfr. Cassazione, sentenza n. 13076 del 24.06.2015; Cassazione, sentenza n. 4394 del 24.2.2014; Cassazione sentenza n. 3113 del 12.2.2014; Cassazione sentenza n. 24670 del 28.11.2007), secondo i quali l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto, e che ha il suo fondamento nell’impossibilità di pervenire allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria, deve essere accertata esclusivamente dal giudice e non anche dalla amministrazione finanziaria.
Analizzando più nel profondo la fattispecie, la Corte è giunta a definire una sorta di “linee guida”, enucleando a titolo esemplificativo, e pertanto non esaustivo, una serie di fatti indice, rilevatori della sussistenza di incertezza normativa, quali in particolare:
- la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta anche al difetto delle previsioni di legge;
- la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;
- la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa;
- la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;
- la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti;
- la mancanza di precedenti giurisprudenziali;
- la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti;
- il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
- il contrasto tra opinioni dottrinali;
- l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
Esempi tipici di tale incertezza si possono ritrovare, oltre che nel caso di specie, anche nel contrasto dottrinario sulla deducibilità delle sanzioni (Cassazione, sentenza n. 14137 del 7.6.2017) o nella definizione di autonoma organizzazione ai fini Irap (Cassazione, ordinanza n. 25853 del 15.12.2016).