14 Ottobre 2014

Incostituzionale la previsione prelevamento = compenso

di Giovanni Valcarenghi
Scarica in PDF
Il giorno
6 ottobre, la
Corte Costituzionale ha depositato la
sentenza n.228 con cui viene dichiarata
illegittima – con riferimento al mondo del
lavoro autonomo – la parte
dell’articolo 32 del DPR 600/1973, nella quale eventuali
prelevamenti dai conti correnti bancari (o, più in genere, dismissioni da rapporti finanziari) non transitati nelle scritture contabili o privi del beneficiario,
si trasformano in presunti compensi.
Ormai abbiamo “smaltito” la notizia e si tratta ora di metabolizzarla, cercando di capire come questa sentenza possa cambiare lo scenario nel quale gli Uffici si sono mossi sinora.
La pronuncia è stata resa a seguito di una rimessione della
CTR Lazio del 2013 che,
coraggiosamente, ha
rilevato come i
precedenti approdi sulla materia fossero
completamente slegati da ciò che normalmente accade nella realtà professionale, con la conseguente impossibilità di creare una assimilazione con il mondo delle imprese.
In pratica, ed in estrema sintesi,
veniva riscontrato che la norma:
  1. violerebbe il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Costituzione, oltre che dell’art. 3, rilevando che per il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logico presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa e il prelevamento sarebbe un «fatto oggettivamente estraneo all’attività di produzione del reddito professionale», idoneo a costituire un «mero indice generale di spesa». Inoltre, la norma censurata sarebbe «irrazionale» qualunque sia la lettura ad essa data tra quelle possibili: o la prova contraria che incombe al contribuente potrebbe ritenersi soddisfatta «con la mera indicazione del beneficiario, divenendo, però, tanto irrazionale quanto inutile sul piano dell’accertamento dei maggiori redditi» oppure – seguendo quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria – richiederebbe necessariamente anche la giustificazione causale dei prelevamenti, così imponendo «un adempimento aggiuntivo rispetto a quello rappresentabile sulla base di una lettura piana del testo normativo»;
  2. se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa (quindi sino al 2004), comporterebbe per i contribuenti professionisti un onere probatorio imprevedibile e impossibile da assolvere, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione e con il principio di tutela dell’affidamento, richiamato anche nell’art 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché con l’art. 111 della Costituzione per violazione del principio di parità delle parti.
La
seconda censura, peraltro attinente solo questioni di contenzioso ascrivibili alle annualità sino al 31.12.2014,
viene ritenuta inammissibile per una questione di natura “formale” e, pertanto, la lasciamo ai margini del commento.
Diversamente,
la questione è fondata in riferimento alle censure di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con conseguente assorbimento di quelle relative agli artt. 24 e 111.
Anche se
le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini, sussistono
specificità della categoria degli autonomi che fanno ritenere
non legittimo l’utilizzo della medesima presunzione per cui un prelevamento non giustificato costituirebbe un compenso.
Se, infatti,
il fondamento economico-contabile
di tale meccanismo è stato ritenuto
congruente con il
fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, il quale è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi (Corte Costituzionale, sentenza n. 225 del 2005), l’attività svolta dai
lavoratori autonomi, al contrario:
  • si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, con la conseguente irrazionalità nella valorizzazione di eventuali acquisti non fiscalizzati;
  • rende credibile che gli eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
Infine, la Corte aggiunge (per fortuna!) che
la suddetta presunzione
non può nemmeno trovare
fondamento nella
generica esigenza di combattere l’evasione fiscale; casomai, tale esigenza sarebbe soddisfatta dalla recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che, oltre ad essere uno strumento di lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si possono prestare ad operazioni “in nero”.
Dunque,
la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito (rectius, compenso).
Per tali motivi,
la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole «o compensi». Ciò significa, evidentemente, che
la stessa presunzione rimane completamente operante per gli imprenditori.
Ci piace davvero questo approccio per il fatto che, a prescindere da valutazioni squisitamente giuridiche che non ci competono,
per una volta la logica prevale sulla esigenza di gettito. Insomma, dovrebbe essere finita l’era delle disposizioni “prenotate” o pilotate dall’Agenzia al solo fine di rendere più spediti gli accertamenti.
Inoltre, non va sottovalutato il fatto che si ribadisce il principio che le presunzioni legali fanno paura solo quando sono ragionevoli, mentre
restano sterili quando tale ragionevolezza manca; questo è un approdo davvero importante di cui dobbiamo fare tesoro, tanto per ribadire che gli accertamenti vanno fatti quando
l’evasione non solo è presunta, ma è anche dimostrata, nei fatti o sulla base di ragionamenti che trovino nella esperienza quotidiana un effettivo riscontro.