Indagine IFAC – I commercialisti divengano un po’ imprenditori
di Claudio Ceradini
La recente pubblicazione del periodico studio di IFAC del sondaggio internazionale in tema di più sentite problematiche nello svolgimento dell’attività professionale offre l’occasione per una riflessione sul futuro imminente che si basi non solo sulle sensazioni che ognuno ha, per i propri rapporti di lavoro più o meno locali, ma su dati tratti dall’esame di un campione, non molto ampio, eppure significativo.
Per l’Italia sono stati intervistati 388 studi professionali, per grande parte di piccole dimensioni, e più specificamente per il solo 20% con più di 5 addetti di staff. Allargando l’analisi all’estero, il quadro cambia, essendo stati intervistati 3.685 studi, di cui il 39% (ben più del 21%) superiori ai 5 addetti. Non ci stupisce, la dimensione media in Italia, di aziende e studi è mediamente inferiore, e non di poco, rispetto agli altri paesi.
Ma fermiamoci all’Italia, per qualche riflessione.
L’analisi dell’IFAC evidenzia che le principali necessità del cliente medio dello studio sono l’accesso al credito, le difficoltà di business legate al calo della domanda, e più in generale l’incertezza economica del mercato. Il 77% delle piccole imprese (SME) ha indicato in uno di questi tre aspetti il problema principale della propria esistenza, e talvolta sopravvivenza. Anche in questo caso non stupisce, il credito in Italia è divenuto una risorsa molto scarsa, e tendenzialmente costosa, e il mercato interno presenta elementi di scarsa attrattività, la difficoltà di incasso, il declino della domanda e dei consumi, etc.
Il professionista medio ha dichiarato che il suo più grande problema è rimanere aggiornato rispetto alle frequenti e consistenti novità normative che intervengono. Per contro il cliente medio del commercialista non percepisce questo aspetto come il vero problema, nella lista è solo al quarto posto. In sostanza lo sforzo del professionista ed il servizio, complesso e per nulla agevole, che eroga al cliente, non è evidentemente percepito come di reale ausilio a fronte dei veri problemi che l’impresa sta affrontando.
Si ha allora la sensazione che il timore dei professionisti, che traspare dall’indagine, di non riuscire ad acquisire o trattenere la clientela, derivi dalla scarsa attitudine ad individuare il vero driver di gradimento, e quindi il reale bisogno che la clientela esprime e che deve essere intercettato e soddisfatto affinchè si produca reale valore aggiunto. Ci concentriamo sul cuore storico del nostro lavoro (le norme) e non riusciamo ancora ad essere sufficientemente attenti ai cambiamenti delle necessità dei nostri clienti, modificando conseguentemente l’approccio. In media, emerge dall’analisi, il commercialista teme molto la pressione sui prezzi che sta subendo (lo dichiara il 25% degli intervistati), ma nel contempo non sente la concorrenza (solo per l’1% pare essere un problema). Se ne deduce che la pressione sui prezzi proviene non dalla presenza di concorrenti temibili, ma da richieste della clientela, che evidentemente non percepiscono come risolutiva l’assistenza del professionista, cercando quindi di pagarla meno possibile, disposti anche a cambiare riferimento, se costa meno.
Senza rinunciare al cuore del nostro lavoro, ed utilizzando efficacemente gli strumenti di aggiornamento e approfondimento che si rendono oggi disponibili, è tuttavia necessario che il commercialista alzi lo sguardo. Il punto vero, per il nostro futuro, è diventare un po’ più imprenditori, dedicare il tempo necessario alla lettura del mercato e delle istanze che provengono dalla clientela, divenendo sensibili alla strutturazione del proprio lavoro secondo modalità che quei bisogni consentano di soddisfare. La dimensione minima è in questo senso una debolezza, da soli non si può fare tutto e accorgersi di tutto. Le strutture professionali molto grandi presentano a loro volta problemi di gestione e convivenza non indifferenti, oltre a richiedere tempi e risorse notevolissimi per essere realizzate.
La rete professionale, con contestuale specializzazione, può essere forse uno strumento possibile. La collaborazione tra professionisti, pochi e selezionati, che coltivino la specializzazione, consente di offrire alle piccole e medie imprese, ed anche a professionisti meno strutturati, uno spettro consulenziale che maggiormente incontra le loro necessità. Vi sono aree, dall’analisi tecnica della normativa bancaria, alle modalità di rapporto tra banca ed impresa, alla conoscenza del funzionamento della Centrale Rischi e più in generale informazioni bancarie, che non sono storicamente bagaglio culturale del commercialista e che tuttavia oggi sono centrali, e sono richieste dalla clientela che non riesce più ad accedere al credito.
La gestione dell’approccio alla crisi dell’impresa, non puramente legale, ma più ampio, dall’analisi del business, a quella dei costi, dell’organizzazione, dei rapporti con il sistema del credito consente di risanare e salvare attività imprenditoriali, indotto e posti di lavoro. Ma anche qui è necessario un gruppo professionale esperto e completo.
Nello stesso senso l’affiancamento per l’espansione in mercati esteri, che consentirebbe ad alcune imprese di mantenere o sviluppare la propria attività, richiede la conoscenza delle regole i quei mercati, sia dal punto di vista tributario che più generalmente normativo, oltre che creditizio. Le grandi strutture consulenziali offrono questi servizi, e tuttavia è probabile che un gruppo professionale selezionato possa essere meno costoso e maggiormente attento, in un approccio più “sartoriale”, al quale siamo già abituati.
In sostanza il nostro è un lavoro in grande cambiamento, è necessario che si diventi un po’ più imprenditori, e che si creino gli strumenti e l’organizzazione per affrontare veramente le esigenze primarie dei clienti, che non sono oggi né il bilancio né la dichiarazione dei redditi.