Indagini bancarie: accertamenti estesi ai conti dei familiari
di Marco BargagliCome noto, nel peculiare settore degli accertamenti bancari, l’articolo 32, comma 1, n. 2), D.P.R. 600/1973 prevede che gli uffici delle imposte possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche relativamente ai rapporti ed alle operazioni bancarie acquisiti ai sensi delle vigenti disposizioni di Legge.
Inoltre, in tema di interposizione fittizia, la normativa di riferimento è contenuta nell’articolo 37, comma 3, D.P.R. 600/1973, a mente del quale in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.
Circa la facoltà di estendere gli accertamenti bancari a soggetti terzi, la prassi operativa ha affermato che le risultanze delle indagini finanziarie possono essere utilizzate anche nei confronti di una persona, fisica o giuridica, diversa da quella nei cui riguardi la procedura sia stata posta in essere.
Anzitutto, le movimentazioni risultanti sui conti di un soggetto terzo, acquisiti con le modalità di rito possono essere, in realtà, riferibili al contribuente (c.d. “titolare di fatto del rapporto”). In tale circostanza, siamo di fronte ad un’ipotesi di fittizia intestazione.
Tuttavia, a titolo esemplificativo può verificarsi che:
- siano stati acquisiti rapporti finanziari cointestati al contribuente e ad un terzo (es. il coniuge), ovvero intestati esclusivamente ad un terzo ma sui quali il contribuente abbia delega ad operare, in ordine ai quali non emergano ipotesi di fittizia interposizione;
- dai conti del contribuente risultino movimentazioni finanziarie che abbiano soggetti terzi quali controparti (ad esempio, destinatari o mittenti di bonifici, emittenti assegni);
- emergano dai rapporti acquisiti in capo al contribuente verificato o controllato garanzie prestate da terzi o rese a favore di questi ultimi.
Nelle ipotesi testé delineate, sarà sempre possibile utilizzare i dati finanziari nei confronti del soggetto diverso dal contribuente formale destinatario delle indagini finanziarie (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume II – parte IV – capitolo 6 “Utilizzo e valenza delle risultanze delle indagini finanziarie”, pag. 266).
Sempre in tema di utilizzabilità dei dati e notizie acquisiti su conti correnti formalmente intestati a terzi soggetti, si è recentemente espressa la suprema Corte di cassazione, sezione 6^ civile, con l’ordinanza n. 22089 dell’11.09.2018, nella quale è stata ammessa la possibilità di estendere gli accertamenti bancari anche ai conti intestati a familiari sui quali il soggetto verificato ha delega ad operare.
La controversia è nata a fronte dell’impugnazione di un avviso di accertamento emesso a carico di un libero professionista, in esito a una verifica fiscale da cui erano emersi maggiori ricavi conseguiti dal contribuente sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso.
Inoltre, erano state acquisite le movimentazioni risultanti dal conto corrente bancario cointestato al medesimo soggetto passivo e al coniuge, nonché a quello intestato ai genitori, sul quale lo stesso contribuente aveva delega ad operare.
Gli ermellini hanno accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria affermando che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che lo stesso soggetto fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività.
Tale principio si applica, “in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore o i soci ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano – in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica”.
In definitiva, sulla base di un consolidato orientamento espresso in sede di legittimità, in tema di accertamento del reddito d’impresa, gli articoli 32, n. 7, D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente.
Infine, sempre a parere della suprema Corte, “in tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica, sicché in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente”.
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