8 Febbraio 2020

Indagini finanziarie: limiti di utilizzabilità dei dati bancari dei soci

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, le indagini finanziarie costituiscono un valido strumento a disposizione del Fisco per contrastare l’evasione fiscale e, più in generale, l’erosione della base imponibile.

Le disposizioni giuridiche di riferimento in subiecta materia sono contenute nell’articolo 32, comma 1, n. 2) D.P.R. 600/1973, in base al quale gli uffici delle imposte possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche con riguardo ai rapporti e alle operazioni bancarie acquisiti da parte dell’Amministrazione finanziaria (ex articolo 32, comma 1, n. 7, D.P.R. 600/1973).

I dati e gli elementi così acquisiti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti tributari, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Per espressa disposizione normativa, sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili.

L’importanza dello strumento investigativo in rassegna viene posta in evidenza anche dalla prassi operativa, la quale ne esalta l’ambito di operatività.

In merito, la ricostruzione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva trova nella documentazione bancaria e finanziaria del contribuente oggetto di controllo e/o dei soggetti che con questi abbiano intrattenuto rapporti commerciali o professionali un riferimento probatorio di prioritaria rilevanza, in quanto, se si esclude la documentazione extracontabile eventualmente reperita in occasione di accessi fiscali (in forma di contabilità “nera”, tenuta più o meno parallelamente rispetto a quella ufficiale su registri appositamente predisposti, appunti vari, files, ecc.), appare difficile individuare, in concreto, altri documenti idonei a palesare l’effettiva disponibilità di risorse finanziarie, ovvero la reale natura di certe operazioni, dotati di un grado di attendibilità paragonabile a quello proprio dei dati e delle notizie rilevabili dalle movimentazioni dei rapporti bancari e finanziari (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume II – parte IV – capitolo 6 “Utilizzo e valenza delle risultanze delle indagini finanziarie”, pag. 243).

Il ricorso alle indagini finanziarie viene attuato, generalmente, nell’ambito delle forme più insidiose di evasione fiscale tra cui ricordiamo, a titolo esemplificativo:

  • le attività di verifica poste in essere nei confronti degli evasori totali, ossia quei soggetti completamente sconosciuti al Fisco;
  • i contesti connotati da spiccata fraudolenza, quali la frode fiscale posta in essere mediante l’emissione e/o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
  • i casi di grave inattendibilità, distruzione o occultamento della contabilità.

Una questione particolarmente delicata e controversa riguarda la possibilità di utilizzare, nei confronti dell’impresa verificata, i dati bancari riconducibili ai conti correnti intestati ai singoli soci.

Infatti, soprattutto nelle forme di accertamento induttivo, l’Amministrazione finanziaria può presumere che i soci di un’impresa a ristretta base familiare abbiano percepito “utili occulti” derivanti dagli elementi positivi di reddito non dichiarati dalla persona giuridica (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 24531 del 24.09.2007).

Circa l’utilizzabilità, in capo alla società, dei dati bancari intestati ai soci la suprema Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 33596 del 18.12.2019 ha fornito importanti chiarimenti delineando, nel contempo, in quali ipotesi l’avviso di accertamento può considerarsi illegittimo.

Con particolare riferimento alle società a responsabilità limitata, la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo affermato che, in tema di infedeltà della dichiarazione Iva derivante dall’omessa annotazione di operazioni imponibili e omessa fatturazione, è possibile procedere all’accertamento anche mediante il controllo di dati e notizie raccolti nel corso delle indagini bancarie.

Queste ultime possono anche riguardare conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (es. il coniuge) qualora l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per “imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale”.

Simmetricamente, la normativa di riferimento autorizza l’Ufficio a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, quando sussista la ragione di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 27032/2007).

Tuttavia, solo se è dimostrata la concreta riferibilità delle movimentazioni bancarie alle operazioni societarie, trova applicazione l’articolo 32, comma 1, n. 2) e n. 7), D.P.R. 600/1973 il quale, attribuendo all’ufficio delle imposte il potere di procedere a accertamenti bancari, fa scattare una presunzione legale a carico del contribuente.

Tale circostanza comporta una vera e propria “inversione dell’onere della prova” in forza della quale il soggetto passivo è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e, contestualmente, a dimostrare che gli stessi sono estranei al reddito non essendo a lui di fatto riferibili, senza che rilevi, in senso contrario, la regolarità formale della documentazione aziendale (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 2843/2008).

In conclusione, a parere degli Ermellini, il giudice di appello, consentendo l’utilizzazione a fini probatori delle movimentazioni dei conti correnti dei soci, per accertare maggiori redditi societari, senza valutare la sussistenza di elementi indiziari che facessero emergere la riferibilità alla società dei conti dei soci, è incorso in una violazione della legge, omettendo di “esaminare tale fatto decisivo”.