14 Settembre 2020

Indebita compensazione: natura del debito estinto

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Al fine di rafforzare la fase della riscossione, sanzionando l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, il D.L. 223/2006 ha introdotto l’articolo 10-quater D.Lgs. 74/2000, poi modificato dal D.Lgs. 158/2015, con l’intento di punire il reato di indebita compensazione.

Così come per gli altri reati tributari, «il bene giuridico tutelato dall’articolo 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000 va individuato nell’interesse dello Stato alla tempestiva e puntuale riscossione dei tributi sicché l’indebita compensazione, a differenza dell’omesso versamento delle ritenute e dell’Iva, non è di immediata percezione per l’Erario ed emerge solo se ci si accorge dell’insussistenza o della non spettanza del credito» (cfr., Cass. sent. n. 30522/2016).

Tale reato può essere commesso in via principale dagli amministratori, che, in qualità di responsabili del rispetto degli oneri tributari, provvedono al pagamento del modello F24, effettuando compensazioni relative a crediti non spettanti o inesistenti. Tuttavia, ciò non esclude che la responsabilità penale possa estendersi all’extraneus attraverso l’applicazione dei principi in materia di concorso di persone (cfr., Cass. sent. n. 662/2011).

Quindi, la fattispecie incriminatrice si configura con l’indicazione nel modello F24 dell’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti.

Ovviamente, a questa condotta deve seguire il contestuale invio o presentazione di questo modello, quale delega irrevocabile di pagamento, che però, attraverso l’indebita compensazione, porta ad un versamento di somme inferiore a quelle effettivamente dovute, sempreché per un ammontare superiore alla soglia di punibilità.

Con specifico riferimento al secondo elemento della condotta, dato giustappunto dal mancato versamento di somme, negli ultimi anni la Corte di Cassazione è stata chiamata a chiarire quale natura debba avere il debito estinto mediante compensazione con un credito non spettante o inesistente, se necessariamente erariale o meno, al fine di poter considerare integrato il reato.

Tale vexata quaestio deriva dal fatto che la giurisprudenza, soprattutto di merito, ha talvolta affermato che, in considerazione della collocazione sistematica dell’articolo 10-quater D.Lgs. 74/2000, il reato sarebbe integrato solo nel caso di compensazione di somme dovute a titolo di imposte dirette e Iva.

Recentemente, invece, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 13149 del 28.04.2020, ha affermato che l’indebita compensazione punita dall’articolo 10-quater D.Lgs. 74/2000 non colpisce solo l’omesso versamento delle imposte dirette o dell’Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione con crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale la soluzione deve essere ricercata nell’articolo 17 D.Lgs. 241/1997, secondo cui «i contribuenti che devono eseguire versamenti unificati di imposte, di contributi previdenziali e assistenziali, di premi Inail e di altre somme a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e di altri enti (es. Camere di commercio, determinate Casse previdenziali professionali), possono utilizzare in compensazione i crediti risultanti dalle dichiarazioni fiscali (redditi, Irap, Iva e 770) o dalle denunce periodiche contributive (es. Uniemens)».

Tale principio consolida quel filone giurisprudenziale secondo cui l’essenza della condotta punita dall’articolo 10-quater non è rappresentata dall’utilizzo o meno del modello F24, dall’omogeneità o eterogeneità delle imposte compensate o dal rispetto del limite temporale della detraibilità del credito, ma soltanto dal ricorso a un istituto applicato nonostante l’assenza di un valido titolo, per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell’operazione realizzata (cfr., Cass. sent. n. 5934/2019).

In verità, si registra anche una decisione di segno contrario (cfr., Cass. sent. n. 38042/2019), secondo cui la parificazione delle fattispecie di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater D.Lgs. 74/2000, ad opera della causa di non punibilità del pagamento del debito tributario ex articolo 13, comma 1, D.Lgs. 74/2000, confermerebbe che quella prevista dall’articolo 10-quater punirebbe sempre e solo l’omesso versamento delle imposte sui redditi e dell’Iva.

Tale pronuncia, però, non appare condivisibile – si è detto – perché «non tiene conto del chiaro disposto normativo del citato D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17. Quest’ultimo, menzionato dall’articolo 10-quater, non limita infatti in alcun modo la facoltà del contribuente di procedere alla compensazione di postazioni di debito o credito afferenti alla medesima imposta (cd. compensazione verticale), essendo l’innovazione introdotta dalla disposizione del D.Lgs. n. 74 del 2000, articolo 10-quater, costituita proprio dal superamento del concetto di compensazione tradizionale tra debiti e crediti di imposta della stessa natura (compensazione c.d. verticale, che non obbliga il contribuente alla presentazione del modello F24 se non nel caso in cui emerga un residuo a debito), mediante l’estensione della facoltà di compensazione anche a debiti e crediti di natura diversa, nonché alle somme dovute agli enti previdenziali (c.d. compensazione orizzontale, che invece viene effettuata mediante la presentazione obbligatoria del modello F24)».

Da ultimo, la parificazione operata dal citato articolo 13, comma 1, con conseguente distinzione rispetto ai reati dichiarativi di cui al successivo comma 2, si fonda sul fatto che, per gli omessi versamenti e l’indebita compensazione, il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito tributario; invece nei reati dichiarativi, ai fini della rinuncia all’azione penale, viene ritenuta necessaria la spontanea resipiscenza del contribuente.