14 Novembre 2024

Indeducibile la svalutazione delle rimanenze nei beni infungibili

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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La scheda di FISCOPRATICO

Tra le tante questioni controverse in materia di reddito d’impresa, vi è anche quella relativa alla rilevanza fiscale della svalutazione dei beni merce, in quanto la posizione dell’Agenzia delle entrate distingue in relazione al tipo di giacenza finale. È opportuno ricordare che l’articolo 92, Tuir, nel prevedere la valutazione delle rimanenze finali con il criterio del costo, distingue tra:

  • beni fungibili (vale a dire beni tra di loro interscambiabili), per i quali la determinazione del costo può avvenire anche con gli altri criteri diversi rispetto al costo specifico (costo medio ponderato, LIFO o FIFO) ai commi 2, 3 e 4, articolo 92, Tuir;
  • beni infungibili (quali ad esempio gli immobili), per i quali la determinazione del costo deve avvenire sulla base dei costi specifici iscritti in bilancio (articolo 92, comma 1, Tuir), non potendosi adottare le altre metodologie di determinazione del costo previste per i soli beni fungibili.

Tale differenza di approccio ha portato l’Agenzia delle entrate (risoluzione n. 78/E/2013 e circolare n. 10/E/2014) a ritenere irrilevante, ai fini fiscali, la valutazione delle rimanenze dei beni infungibili al minor valore di mercato, poiché tale svalutazione assumerebbe rilievo solo per i beni fungibili. La tesi dell’Amministrazione finanziaria si basa sul contenuto dell’articolo 92, comma 5, Tuir, secondo cui la svalutazione al minor valore di mercato assume rilievo ai fini fiscali solo per i beni infungibili, poiché il comma 5 richiama solamente le rimanenze di cui ai precedenti commi 2, 3 e 4, ossia i commi dedicati alla determinazione del costo per tali beni. In altre parole, il mancato richiamo del comma 1 impedirebbe di poter dedurre la valutazione al minor valore di mercato delle rimanenze di beni infungibili. Per tali ultimi beni, quindi, il minore valore verrebbe recuperato solamente all’atto della cessione dei beni.

Sulla stessa linea interpretativa dell’Agenzia delle entrate, si è espressa anche Assonime (documento n. 1 del 13.5.2011) secondo cui “la tesi più in linea con le intenzioni del legislatore è quella di ritenere che l’articolo 92 del TUIR, per i beni non fungibili valutati in base ai costi di diretta imputazione, non abbia inteso ammettere alcuna svalutazione, al pari di quanto accade per i beni strumentali, anche perché è difficile pensare ad un assetto normativo che, in presenza di una disciplina che circoscrive il riconoscimento delle svalutazioni dei beni fungibili di magazzino, per gli altri beni consenta la deduzione delle rettifiche di valore senza alcun limite fiscale”.

A diverse conclusioni è pervenuta, invece, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC) con la Norma di comportamento n. 168/2007, secondo cui sebbene il dato letterale dell’articolo 92, comma 5, Tuir, pare in effetti escludere dall’ambito applicativo le rimanenze valutate a costi specifici (beni infungibili), la deduzione della svalutazione deriverebbe dall’applicazione del principio di derivazione di cui all’articolo 83, Tuir, attribuendo rilevanza fiscale alla valutazione effettuata ai fini civilistici ex articolo 2426, n. 9, cod. civ. Tra l’altro, tale approccio assume un significato più profondo per i soggetti che, a partire dal 2017, applicano la derivazione rafforzata, per i quali prevale l’applicazione delle valutazioni operate in sede civilistica applicando i principi contabili assumono piena valenza fiscale, anche laddove una norma del Tuir disponesse diversamente. Purtroppo, si segnala che, in tempi recenti, si è espressa in senso negativo (nel senso della irrilevanza fiscale della svalutazione dei beni infungibili) la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 10773/2023), motivando la propria posizione sia per ragioni sistematiche (autonomia delle valutazioni previste dalla norma tributaria rispetto a quella civilistica sulla valutazione delle rimanenze), sia perché il riferimento valutativo fiscale è all’ultimo mese del periodo d’imposta, mentre quello civilistico è riferito all’intero esercizio sociale.