Indeducibili i costi delle imprese farmaceutiche per prestazioni a vantaggio dei medici
di Davide AlbonicoLe spese sostenute per l’acquisto di beni e servizi destinati ai medici, siano esse spese di promozione o di rappresentanza, sono generalmente indeducibili, ciò anche al fine di disincentivare comportamenti che potrebbero determinare una crescita patologica della spesa sanitaria, nonché di assicurare che le persone autorizzate a prescrivere medicinali possano svolgere tale compito con assoluta obiettività, senza essere influenzate da incentivi finanziari, diretti o indiretti.
Queste, in sintesi, le conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 6092 del 01 marzo 2019, è tornata ancora una volta a pronunciarsi sulla deducibilità dei costi sostenuti da imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici.
Il caso trattato dalla Suprema Corte riguarda la decisione della CTR Toscana che, respingendo l’appello promosso dal contribuente, aveva confermato sostanzialmente la pretesa erariale originata da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, ai fini Irpeg, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2003, sul presupposto dell’indebita deduzione di componenti negative.
La società contribuente ritiene però illegittima la ripresa relativa alla indeducibilità delle spese promozionali e di rappresentanza, dato che i vantaggi offerti ai medici, di modico valore, erano anche strettamente inerenti alla professione sanitaria.
Innanzitutto, giova ricordare come, secondo consolidata giurisprudenza, in tema di imposte sui redditi, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta (Cassazione, n. 25021/2018; Cassazione, n. 12676/2018; Cassazione, n. 10636/2018).
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale pertanto (Cassazione, n. 3087/2016; Cassazione, n. 16596/2015), il criterio distintivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti dall’impresa:
- le spese di rappresentanza sono sostenute per accrescere il prestigio della stessa senza tuttavia dar luogo ad una aspettativa di incremento diretto delle vendite;
- le spese di pubblicità hanno invece una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati e di incremento delle vendite.
La sostanziale differenza tra le due fattispecie risiede nel fatto che, a determinate condizioni, mentre le seconde sono integralmente deducibili, le prime soggiacciono ai limiti di deducibilità di cui all’articolo 108 Tuir.
In particolare, le spese di rappresentanza di un determinato periodo sono deducibili in base all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo, ovvero in misura pari:
- all’1,5 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;
- allo 0,6 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni;
- allo 0,4 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni.
Sono invece comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50.
Per una corretta ricostruzione della fattispecie va inoltre evidenziato come, con particolare riferimento alle deducibilità delle spese sostenute da imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici, nonostante l’abrogazione del D.Lgs. 541/1992 (attuativo della Direttiva 92/28/CEE), l’articolo 2, comma 9, L. 289/2002 prevede espressamente l’indeducibilità, ai sensi dell’articolo 109 Tuir, dei costi sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico.
Posto che il novero delle spese di pubblicità è limitato alle sole spese volte a render noto un farmaco presso la classe medica, anche attraverso la organizzazione di convegni e riunioni, purché di breve durata e con la partecipazione di un numero ristretto di specialisti, giova ricordare come anche l’articolo 94 Direttiva 2001/83/CE, che ha sostituito la Direttiva 92/28/CE, vieta la concessione, offerta o promessa a medici o farmacisti di premi, vantaggi pecuniari o in natura, con la sola eccezione del caso che siano di valore trascurabile o rientrino nella prassi corrente in campo medico o farmaceutico.
Dal riferito quadro normativo discende pertanto, a parte rare eccezioni, la generale indeducibilità delle spese sostenute per l’acquisto di quei beni e servizi destinati ai medici, siano esse spese di promozione o di rappresentanza.
Ritornando al caso di specie, a parere della Corte la sentenza impugnata è immune da censure, avendo la stessa ritenuto, secondo corretti criteri di ragionevolezza, che le spese per omaggi effettuati a medici non potessero essere dedotte, in quanto presentavano un valore non trascurabile, considerato complessivamente per ciascun medico nell’ambito di un singolo periodo di imposta.