Indeducibilità costi al nodo convenzionale
di Ennio VialVita PozziIn vista dell’approssimarsi della scadenza di invio del modello Unico, oltre al tema caldo del Modulo RW non va trascurato nemmeno quello relativo alla segnalazione dei costi black list nei quadri del reddito di impresa.
Uno spunto interessante sul tema, da valutare in sede contenziosa, attiene all’incompatibilità della disciplina in oggetto in relazione ad operazioni intrattenute con soggetti collocati in Paesi convenzionati.
Va, infatti, ricordato come in base all’art. 24 paragrafo 4 del modello di convenzione elaborato dall’OCSE sia stabilito che “interest, royalties and other disbursements paid by an enterprise of a Contracting State to a resident of the other Contracting State shall, for the purpose of determining the taxable profits of such enterprise, be deductible under the same conditions as if they had been paid to a resident of the first-mentioned State”.
In sostanza, se posso dedurre un costo proveniente da una impresa interna, dovrò ammettere la deducibilità del medesimo costo anche se fatturato da un soggetto residente nell’altro Stato contraente, a prescindere dal fatto che sia un paradiso fiscale.
Ora, poiché la norma convenzionale prevale su quella interna, è evidente che una clausola di tal fatta deve rendere inoperativa la previsione di cui all’art. 110 comma 10 e seguenti del Tuir.
Questo principio, noto in dottrina da molto tempo, non ha mai incontrato un riconoscimento di prassi ma gli operatori possono far propri i primi timidi interventi giurisprudenziali sul tema.
In particolare va segnalata in materia la sentenza CTP Milano n. 294/5/12 del 13 dicembre , che ha esaminato un’operazione intercorsa con un Paese black list convenzionato.
Sul punto, la pronuncia ritiene correttamente che “le disposizioni contenute in una convenzione internazionale, in quanto destinate a disciplinare in via esclusiva i rapporti tra i soggetti appartenenti ad uno Stato estero ed i soggetti appartenenti allo Stato italiano, ovvero i rapporti tra uno stato estero e l’Italia, assumano il carattere di specialità e, quindi, assumano rilievo rispetto alle normative nazionali quali, nel caso in esame, il Tuir”.
Nello stesso senso si era espressa anche la stessa C.T.Prov. Milano, con sentenza n. 338 del 20.12.2010 e, incidentalmente, anche la Cassazione con la sentenza n. 4272 del 23.2.2010.
Pertanto, per alcuni Paesi black list quali Ecuador, Filippine, Maurizio, Svizzera, Singapore e Malesia, la norma dovrebbe ritenersi inoperativa.
La questione riguardava in passato anche la Corea del Sud; tuttavia, il D.M. 27.7.2010 ha espunto questo paese dalla black list a far data dal 19 agosto 2010 (15 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto).
La presenza della convenzione, pertanto, supera, almeno secondo l’orientamento giurisprudenziale evidenziato, la disposizione interna del Tuir.
Ricordiamo, infine, come il regime di indeducibilità dei costi paradisiaci non operi nel caso in cui la controparte interessata sia tassata per trasparenza ai sensi della disciplina sulle controlled foreign companies. In tal senso, infatti, si pone l’art. 110, comma 12 del Tuir.
La ratio appare evidente: se il soggetto è tassato in base all’art. 167, è inutile erodere la base imponibile italiana con un costo che avrà come contropartita un ricavo tassato per trasparenza.
La norma, invece, potrebbe fare capolino in situazioni inaspettate. Un caso potrebbe essere quello della società esterovestita. Nel momento in cui una struttura estera è considerata fiscalmente residente in Italia, paradisiaca o meno che sia, trova applicazione il regime di indeducibilità dei costi con soggetti black list per gli eventuali rapporti di questo genere.
Del resto, anche in caso di tassazione per trasparenza ai sensi dell’art. 167 del Tuir, si dovranno segnalare e valutare conseguentemente i costi paradisiaci della nostra CFC. Per evitare questo appesantimento amministrativo si renderà necessario presentare l’istanza di interpello disapplicativo ai sensi del comma 5 della disposizione.
Un’ultima osservazione, infine, attiene al raccordo tra la disciplina in oggetto e le comunicazioni black list mensili o trimestrali. I due adempimenti, infatti, non sono perfettamente collimanti in ragione delle diverse black list di riferimento e delle operazioni monitorate.