2 Marzo 2017

Inerenza del costo ed onere della prova secondo la giurisprudenza

di Marco Bargagli
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Le regole di deducibilità dei componenti positivi e negativi di reddito sono sancite dall’articolo 109 del Tuir, in base al quale i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni (trattasi, come noto, dei famosi principi di competenza, certezza ed obiettiva determinabilità).

Sotto il profilo dell’inerenza del costo sostenuto, il legislatore prevede che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi (articolo 96 del Tuir), tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.

In buona sostanza, quale regola di carattere generale, il costo sostenuto dall’impresa sarà deducibile dal proprio reddito solo se inerente rispetto all’attività esercitata; in caso contrario, sarà recuperato a tassazione.

Circa la possibilità di sindacare, nel corso di un controllo fiscale, l’inerenza dei costi sostenuti dal contribuente, la circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza (volume II – parte IV – capitolo 3, pagg. 75 e 88) prevede che il giudizio di deducibilità di un costo per inerenza riguarda la natura del bene o del servizio ed il suo rapporto con l’attività d’impresa, da valutarsi in relazione allo scopo perseguito al momento in cui la spesa è stata sostenuta e con riferimento a tutte le attività tipiche dell’impresa stessa e non semplicemente ex post, in relazione ai risultati ottenuti in termini di produzione del reddito.

Inoltre, il riscontro analitico–normativo dell’osservanza del principio di inerenza, deve mirare a verificare la sussistenza del rapporto di causa ed effetto ovvero del collegamento funzionale fra il costo e l’oggetto e/o l’attività dell’impresa.

A questo punto, occorre domandarci su quale soggetto incombe l’onere della prova di dimostrare – nel corso della verifica fiscale – l’inerenza delle spese e degli altri componenti reddituali contabilizzati in bilancio.

Sulla base della recente elaborazione giurisprudenziale, ai fini delle imposte sui redditi d’impresa, l’inerenza – quale requisito di deducibilità del costo può essere definita come una relazione concettuale tra costo e impresa, sicché il costo assume rilevanza nella determinazione della base imponibile non tanto per la connessione ad una precisa componente di reddito, quanto per la correlazione con un’attività d’impresa potenzialmente idonea a produrre utili.

Di contro, ai fini dell’Iva, l’inerenza – quale requisito di detraibilità del costo – richiede elementi obiettivi che evidenzino una concreta strumentalità del bene o servizio all’attività d’impresa.

Tale importante concetto è stato affermato dalla suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 1544 del 20 gennaio 2017 nella quale, tra l’altro, sulla base di un costante orientamento espresso in apicibus da parte del giudice di legittimità, l’onere di provare l’inerenza del costo grava sul contribuente cui spetta anche provare la coerenza economica della spesa, qualora questa sia contestata da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Sullo specifico tema, gli ermellini hanno sottolineato che il giudice d’appello aveva impropriamente valutato l’inerenza sotto il profilo della mera liceità civilistica dell’erogazione aziendale, piuttosto che sulla funzionalità economica rispetto agli scopi d’impresa.

Nel caso considerato, il motivo della ripresa era infatti “l’assenza radicale del componente negativo, tanto che l’esborso era stato considerato indeducibile per l’intero, alla stregua di un credito finanziario; non era in rilievo la semplice natura pluriennale del componente, che avrebbe determinato tutt’al più un’indeducibilità parziale per quote d’esercizio”.

Tale ultima pronuncia risulta coerente con il consolidato orientamento espresso nel tempo da parte del giudice di legittimità, così riassumibile:

  • “affinché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa” (Corte di Cassazione sentenza n. 6650/2006);
  • “la norma formula il cosiddetto principio di inerenza e cioè il principio della riferibilità dei costi che si intendono dedurre ai ricavi: siffatta riferibilità, però, non richiede la connessione comprovata per ogni molecola di costo quale partita negativa della produzione, essendo sufficiente la semplice contrapposizione economica teorica (cioè, la cosiddetta latenza probabile degli stessi), avuto riguardo alla tipologia organizzativa del soggetto, che genera quindi partite passive deducibili se i costi riguardano l’area o il comparto di attività destinati, anche in futuro, a produrre partite di reddito imponibile(Corte di Cassazione, sentenza n. 21184/14);
  • sotto il profilo dell’onere della prova, trattandosi di una componente negativa del reddito “la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente(Corte di Cassazione, sentenza n. 1709/2007);
  • per provare il requisito dell’inerenza “non è sufficiente che la spesa sia stata dell’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa (cfr. sentenza n. 4570/2001).

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La deducibilità dal reddito d’impresa dei componenti negativi derivanti da beni strumentali