Influencer: quando il semplice divertimento diviene attività fiscalmente rilevante?
di Alessandra MagliaroSandro CensiSotto il generico appellativo di influencer vengono oggi identificati diverse tipologie di operatori social che, in realtà, effettuano attività estremamente eterogenee tra loro, accumunate soltanto dall’utilizzo delle piattaforme social.
Il consulente incaricato di gestire l’attività di tali soggetti dal punto di vista tributario e previdenziale dovrà, pertanto, in primo luogo, identificare quali siano, in pratica, gli impegni da loro assunti, le modalità di svolgimento e le obbligazioni derivanti.
In verità, il primo compito del consulente è proprio quello di identificare il momento in cui l’attività esercitata dagli operatori social da semplice hobby o passione senza alcun riconoscimento economico, scevra da obbligazioni formali tributarie e previdenziali, diventa un’attività redditizia e comporta, quindi, l’assolvimento di precisi oneri formali e sostanziali.
Ed invero, spesso capita che il cd. influencer inizi una attività che non possiede i requisiti di abitualità e professionalità e che, inoltre, non comporta neanche il realizzo di alcun reddito.
La situazione, come detto, muta quando dall’attività svolta si inizia a percepire un reddito. In tal caso, diverse possono essere le fattispecie a seconda che l’attività che giustifica la percezione del reddito assuma o meno i citati requisiti di abitualità e professionalità.
Erroneamente, spesso, ciò a cui viene fatto riferimento è semplicemente l’ammontare percepito e, più esattamente, se tale ammontare è superiore od inferiore ai 5.000 euro di reddito annui.
Tale soglia, prevista solo dal punto di vista previdenziale per determinare l’insorgere dell’obbligo di iscrizione e conseguenti versamenti agli Enti preposti, viene spesso, ripetiamo erroneamente, utilizzata anche per determinare il momento in cui si rende necessaria l’apertura di una partita Iva.
In verità, l’obbligo di assolvimento di tale ultimo onere non è legato ad alcun ammontare prestabilito, ma si rende necessario solo qualora l’attività professionale o imprenditoriale sia svolta non in modo occasionale, ma con abitualità e professionalità.
Se dal punto di vista Iva l’esercizio occasionale di un’attività, da parte dell’influencer, non comporta obblighi né formali né sostanziali, diversa è la prospettiva dal punto di vista delle imposte sui redditi.
In questo caso, probabilmente, il reddito percepito dovrà essere annoverato tra i redditi diversi e, in particolare, o come reddito da lavoro autonomo/attività commerciale svolte occasionalmente, ovvero come redditi derivanti da obbligazioni di fare, non fare, permettere.
Quando, come detto, l’attività che produce reddito viene svolta con caratteri di abitualità e professionalità, sempre dal punto di vista reddituale occorrerà verificare a quale categoria imputare tali proventi.
In rari casi, le caratteristiche con cui l’attività viene svolta potrebbero comportare l’inquadramento delle somme ricevute tra i redditi da lavoro dipendente. Più spesso si dovrà fare ricorso alle differenti ipotesi del reddito da lavoro autonomo o da attività di impresa.
Sulla qualificazione ed individuazione della categoria reddituale, quale reddito da lavoro autonomo, sono intervenuti i Giudici della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado nella sentenza relativa al caso Ronaldo (CGT di secondo grado di Torino, 15.5.2023, n. 219) secondo cui “l’esercizio abituale e professionale della gestione di quell’immagine rende evidente la qualificabilità del reddito che ne consegue come proveniente da un’attività di lavoro autonomo, a norma dell’art. 53, comma 1, T.U.I.R.” Sempre secondo i medesimi giudici “Ciò che infatti emerge prepotentemente, in fenomeni del tipo di cui ci si occupa in questa sede, è il fatto che l’immagine del personaggio famoso finisce per costituire di per sé un valore, la cui promozione rappresenta essa stessa un’attività professionale (avente natura di lavoro autonomo) produttiva di reddito”.
In sostanza, nella maggior parte dei casi, l’attività espletata dagli influencer possiede tutti i requisiti richiesti dall’articolo 53 Tuir e cioè l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo.
La determinazione di tale reddito avverrà, quindi, secondo le regole di tale categoria: saranno, pertanto, deducibili dai corrispettivi, tutte le spese sostenute, purché rispettino i presupposti stabiliti dalla normativa. In tal senso, si rimanda alla decisione della C.G.T. di secondo grado di Milano, Sent. n. 468 del 12.2.2024 nella quale si stabilisce che i costi sostenuti da una influencer per l’abbigliamento sono deducibili per l’intero importo se viene data prova dell’utilizzo esclusivo a determinati eventi. Nel caso in cui tale prova non può essere fornita, si deve presumere un uso promiscuo e, quindi, la deduzione deve essere riconosciuta nella misura del 50%.
Va segnalato, infine, che, sussistendone i presupposti, sarà possibile per l’influencer determinare l’imposta secondo le modalità stabilite per il regime forfettario.
Per quanto concerne l’aspetto Iva occorrerà, chiaramente, provvedere ad aprire una idonea posizione con un codice Ateco, ad oggi non ancora specificamente esistente. Solitamente vengono utilizzati alternativamente il codice 73.11.02 “Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari” oppure il codice 74.90.99 “Altre attività professionali n.c.a.”