Integrativa negata per il recupero dell’Iva
di Luca CaramaschiNon farà certamente piacere agli operatori la conclusione a cui è pervenuta l’Agenzia delle entrate con la risposta n.55 dello scorso 14 febbraio 2019 in merito alle disposizioni dettate dall’articolo 26 D.P.R. 633/1972 in tema di note di variazione.
Secondo l’amministrazione finanziaria, infatti, non pare possibile fare ricorso alla nota di variazione in diminuzione (la cosiddetta nota di credito) una volta che siano decorsi i termini per l’esercizio del diritto alla detrazione individuati dall’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972, così come modificato di recente ad opera del D.L. 50/2017, convertito con modificazioni dalla L. 96/2017.
Come è noto, in base all’articolo 26, commi 2 e 3, D.P.R. 633/1972, nelle ipotesi in cui successivamente all’emissione della fattura e alla registrazione della stessa l’operazione venga meno in tutto o in parte o se ne riduca l’ammontare imponibile in conseguenza degli eventi ivi previsti (la norma richiama i casi dichiarazione di nullità, annullamento, mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, ecc.), il soggetto passivo può recuperare la differenza d’imposta portandola in detrazione, previa emissione di una nota di credito.
Detta nota non può essere emessa dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione nel caso in cui gli eventi previsti dall’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972 si verifichino in dipendenza di un sopravvenuto accordo tra le parti.
Da ciò ne deriva che il limite temporale di un anno non opera nel caso in cui la diminuzione sia stata determinata da una causa non dipendente dalla sopravvenuta volontà delle parti (è l’ipotesi ad esempio, di uno sconto o di un abbuono contrattualmente previsto sin all’origine).
Se le regole sopra esaminate ci consentono di individuare il momento a partire dal quale a nota di variazione può essere emessa (quello che l’Agenzia delle entrate ha definito il “presupposto” per poter attivare la procedura di cui all’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972) è altrettanto vero che l’individuazione del termine entro il quale può essere portata in detrazione l’iva evidenziata nella nota di credito non può prescindere dalle previsioni contenute nell’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972.
Come già accennato in precedenza, l’attuale versione dell’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972, in vigore dal 1° gennaio 2017, stabilisce che la nota di variazione in diminuzione deve essere emessa (e la maggiore imposta a suo tempo versata può essere detratta), al più tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione.
Per individuare detto momento la circolare AdE 1/E/2018 richiama i contenuti di seguenti documenti di prassi: la risoluzione 89/E/2002, la risoluzione 307/E/2008 e la risoluzione 42/E/2009.
Ne deriva pertanto che, per le note di variazione emesse dal 1° gennaio 2017 in poi, la detrazione può essere operata non più, come avvenuto in precedenza, al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, bensì nel termine più breve attualmente previsto.
Questo fatto, unitamente al fatto che per la nota di variazione non esiste un vero e proprio “momento di ricezione” (la detrazione, infatti, va a beneficio del soggetto che emette il documento di rettifica), restringe non di poco il termine entro il quale poter esercitare la detrazione dell’iva evidenziata nella nota di variazione.
In assenza di chiarimenti sul punto in dottrina si era teorizzata la possibilità di fare ricorso allo strumento della dichiarazione integrativa “a favore” posto dopo che il D.Lgs.193/2016 ha modificato l’articolo 2 D.P.R. 322/1998, al fine di ammettere la presentazione di una dichiarazione che rettifichi l’imponibile o l’imposta a favore del contribuente anche oltre il termine annuale precedentemente e quindi entro il termine quinquennale già previsto per le dichiarazioni integrative a favore del fisco.
È proprio con riferimento a quest’ultima possibilità che l’Agenzia, con la recente risposta 55-2019 ha ritenuto che, nel caso in cui il termine per l’emissione della nota di variazione sia già spirato, non sia più possibile presentare una dichiarazione integrativa Iva a favore ai sensi dell’articolo 8, comma 6-bis, D.P.R. 322/1998 per recuperare l’imposta versata.
Secondo l’Amministrazione, infatti, mancano in tale evenienza i presupposti per poter presentare una dichiarazione integrativa a favore ex articolo 8, comma 6-bis, del citato decreto, non ravvisandosi alcun errore od omissione cui rimediare con riferimento all’anno di emissione della fattura originaria (anno peraltro ormai prescritto nel caso commentato dall’Agenzia), né è possibile affermare che, nel caso specifico, non avendo emesso la nota di variazione, il contribuente abbia commesso un errore da correggere.
In aggiunta, l’Agenzia ricorda che l’emissione di una nota di variazione in diminuzione rappresenta non un obbligo bensì una facoltà alla quale il contribuente può rinunciare.
Volendo esemplificare, se un contribuente si è precedentemente insinuato in un fallimento che si chiude definitivamente (secondo le indicazioni fornita dall’Agenzia con la circolare 77/E/2000) in data 27 dicembre 2018 (il cosiddetto “presupposto” che legittima l’emissione della nota di credito), il recupero di quell’Iva potrà avvenire non oltre il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui tale presupposto è sorto, e cioè la dichiarazione Iva 2109 relativa all’anno 2018 che, come è noto, scade il 30 aprile 2019.
Se quel contribuente, tuttavia, si “accorge” della chiusura della procedura concorsuale solo in data 4 maggio 2019, secondo la recente interpretazione dell’Agenzia quell’Iva sarà definitivamente persa non potendo il contribuente fare ricorso allo strumento della dichiarazione integrativa a favore.
Nell’affermare questa tesi, l’Agenzia oltre a quanto già espresso in precedenza (e cioè che la nota di credito è una facoltà e che la dichiarazione integrativa ha la mera funzione di correggere errori e omissioni) precisa ulteriormente che l’emissione di una nota di variazione produce effetti diversi dalla dichiarazione integrativa: mentre la prima assicura che sia rispettato il principio di neutralità dell’Iva (al diritto alla detrazione in capo a colui che emette la nota di variazione corrisponde l’obbligo di iscrivere l’imposta a debito per chi la riceve), la dichiarazione integrativa consente il solo recupero dell’imposta versata in misura superiore ma non anche il riversamento da parte di chi l’ha detratta.
Seppur le argomentazioni dell’agenzia possano ritenersi in buona parte condivisibili, non si può non osservare come l’estrema riduzione del termine per esercitare il diritto alla detrazione previsto dall’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972 (“ammorbidita” dalla circolare AdE 1/E/2018 con il doppio requisito esigibilità/ricezione per quanto riguarda le normali fatture) nel caso delle note di variazione in diminuzione arrechi una penalizzazione per i contribuenti che appare davvero eccessiva.