Inutilizzabilità in sede contenziosa dei documenti non prodotti
di Niccolò Di Bella
Il comma 5 dell’art. 52 D.P.R. 633/1972 recita testualmente che “I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”; pertanto, per superare la preclusione probatoria, il contribuente deve addurre giustificazioni in grado di evidenziare il fatto che la mancata produzione della suddetta documentazione derivi da fatti a lui non imputabili.
Tuttavia, la sanzione può applicarsi anche quando il rifiuto di esibizione sia dipeso, oltre che da fatti di origine dolosa, anche da errori non scusabili, di diritto o di fatto, dovuti a carenze amministrative, disattenzione, dimenticanze o altro.
La ratio di tale preclusione probatoria è stata identificata nella necessità di scoraggiare l’atteggiamento ostruzionistico del contribuente che rallenti o ostacoli l’attività accertativa degli Uffici.
L’ordinamento sembra, dunque, diffidare della genuinità dei documenti che non siano esibiti in esito ad una specifica richiesta, in quanto il documento di cui sia stata originariamente rifiutata l’esibizione potrebbe essere stato contraffatto o creato in un secondo momento.
La preclusione in parola, operando sia in sede amministrativa che giudiziale, si risolve in una compressione del diritto alla prova.
Analogamente, anche la dichiarazione di non possedere la documentazione richiesta, perché possa configurare una condotta suscettibile di determinare una limitazione dell’accesso alle prove, deve manifestarsi attraverso il concorso di tre condizioni, rappresentate:
- dalla non veridicità della dichiarazione resa dal contribuente o quantomeno dal suo sostanziale rifiuto di esibizione,
- dalla coscienza e volontà di detta dichiarazione
- e dal profilo del dolo, da intendersi quale volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento (Sentenza 25/02/2000 n. 45, Cassazione a sezioni unite).
Pertanto, affinché sia preclusa la successiva utilizzabilità probatoria del documento è necessario uno specifico comportamento del contribuente che si sottrae alla prova stessa, fornendo validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che successivamente riaffiorino nel corso del giudizio.
L’ambito applicativo della preclusione è stato (oseremmo dire, ovviamente) esteso soltanto ai documenti richiesti e non esibiti nel corso della verifica e non anche per ogni altro documento di cui non è fatta menzione nel verbale; pertanto possono essere applicate sanzioni solo allorché si sia in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’amministrazione finanziaria.
Nella Sentenza depositata pochi giorni fa dalla Suprema Corte (la n°27595 del 10.12.2013, emessa in data 13.11), gli Ermellini respingono il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassando – anche – la censura secondo la quale il giudizio di secondo grado sarebbe stato gravato dall’ammissibilità di documenti prodotti dal contribuente in sede contenziosa, ma non esibiti in sede di verifica.
Analizzando la sentenza, l’orientamento dei giudici ci pare estremamente corretto, avuto riguardo del fatto che il contribuente non esibì agli accertatori la documentazione in sede di verifica “per la manifesta difficoltà di reperimento”, non configurandosi alcuna ipotesi di “rifiuto di esibizione o sottrazione” o la presenza di un comportamento appositamente mirato a porre in essere atti omissivi al fine di intralciare la verifica in atto.
E calandoci nella realtà di tutti i giorni, soprattutto in quelle aziende medie-piccole (o “micro”), ci rendiamo conto di quanto sia facile riscontrare una oggettiva “difficoltà di reperimento” di materiale, soprattutto quando risalente a 3 o 4 (o più, a seconda dei casi) anni addietro.
La Cassazione conclude per la non corretta preclusione dell’utilizzazione del materiale presentato dal contribuente “fuori” dall’ambito di verifica, ricordando che il contribuente deve sempre essere messo in condizione di poter rispondere positivamente alle richieste dei verificatori adottando la ordinaria diligenza; pertanto la “manifesta difficoltà di reperimento” deve essere accolta come una “difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza”.
Un piccolo suggerimento in conclusione: se è pur vero che la mole di documenti (e di connessi adempimenti) rende la gestione fiscale-amministrativa sempre più intricata e complessa, tuttavia uno sforzo aggiuntivo in materia di maggiore “ordine” gioverà prima di tutto all’organizzazione aziendale, e metterà al riparo dalle contestazioni appena citate.