Ipoteca illegittima: gli strumenti di tutela per il contribuente
di Angelo GinexSecondo quanto previsto dall’articolo 77 D.P.R. 602/1973, decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento o 90 giorni dalla notifica dell’accertamento esecutivo, l’Agente della Riscossione può procedere all’iscrizione di ipoteca sugli immobili del contribuente o dei coobbligati, per un importo pari al doppio della somma complessiva per la quale si procede.
A tal fine, è però necessario che l’Agente della Riscossione notifichi al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in difetto del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà iscritta l’ipoteca esattoriale.
Inoltre, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 16/2012, l’ipoteca non può essere iscritta per debiti sino ad euro 20.000,00.
In linea generale, i vizi che determinano l’illegittimità dell’ipoteca sono:
- il mancato decorso del termine dilatorio di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento o di 90 giorni dalla notifica dell’accertamento esecutivo (Cfr., Cassazione, ordinanza n. 23050/2016);
- la mancata notifica della comunicazione preventiva (Cfr., Cassazione, sentenza n. 5577/2019);
- il difetto di motivazione (Cfr., Cassazione, ordinanza n. 24258/2014);
- l’assenza dell’indicazione del responsabile del procedimento (Cfr., Cassazione, sentenza n. 30016/2018);
- l’omessa o irrituale notifica della cartella di pagamento/accertamento (Cassazione, ordinanza n. 22159/2017);
- il mancato rispetto dei limiti previsti dalla legge, quindi credito tutelato inferiore a 20.000,00 euro (Cfr., UU. sentenza n. 5771/2012);
- la sproporzione rispetto al credito per cui si procede (Cfr., SS.UU. sentenza n. 19667/2014).
Ciò detto, non vi è dubbio che dalla illegittima iscrizione di ipoteca possa derivare un danno per il contribuente, il quale potrà quindi agire in sede giudiziale al fine di ottenere il ristoro di quanto ingiustamente patito.
Più precisamente, il contribuente potrà impugnare l’ipoteca dinanzi al giudice tributario, al fine di far valere non solo il vizio di illegittimità dell’iscrizione, ma anche la responsabilità processuale aggravata di cui all’articolo 96 c.p.c., detta anche da “lite temeraria” o da “danno processuale”.
Detta norma, applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo contenuto all’articolo 1 D.Lgs. 546/1992, stabilisce che: «1. Se risulta che la parte soccombente ha agito con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, con sentenza. 2. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente».
Quindi, il contribuente potrà chiedere la condanna dell’Agente della Riscossione per responsabilità processuale aggravata, qualora concorrano, congiuntamente, i seguenti requisiti: la totale soccombenza della parte; l’aver agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave; l’aver causato un danno concreto ed effettivo, che deve essere quantificato dal contribuente.
Inoltre, sempre l’articolo 96 c.p.c. prevede che: «In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».
Proprio quest’ultima previsione, ritenuta applicabile – così come la precedente – nel processo tributario dalla stessa Agenzia delle Entrate (Cfr., circolare AdE 17/E/2010), è stata più volte applicata dai giudici per dichiarare la nullità delle iscrizioni di ipoteca viziate (Cfr., CTR Toscana sentenza n. 257/2011; CTP Torino sentenza n. 83/2010).
Da ultimo, il contribuente può anche rivolgersi al giudice ordinario, in presenza dei presupposti di legge, al fine di ottenere la condanna dell’Agente della Riscossione al risarcimento da fatto illecito ex articolo 2043 cod. civ..
In tal caso, è necessario, innanzitutto, dimostrare la colpa dell’Agente della Riscossione e, poi, il nesso di causalità tra la sua condotta ed il verificarsi del danno, che, comunque, deve essere quantificato.
Sul punto, le Sezioni Unite, con sentenza n. 11379/2016, hanno chiarito che: «In tema di riscossione tributaria, la domanda risarcitoria proposta verso il concessionario per illecita iscrizione d’ipoteca esattoriale in fattispecie anteriore all’entrata in vigore dell’articolo 35, comma 26 quinquies, del d.l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, non può essere respinta dal giudice ordinario a ragione della devoluzione al giudice tributario della pretesa a cautela della quale l’ipoteca è stata iscritta, poiché tale pretesa è solo il presupposto di legittimità della condotta del concessionario e riguarda una questione pregiudiziale conoscibile dal giudice ordinario, cui è devoluta la domanda principale risarcitoria».
Ad oggi, quindi, il contribuente può utilizzare due strumenti di tutela per far valere il danno derivante da una iscrizione illegittima, nel momento in cui propone ricorso avverso detto atto dinanzi alla competente Commissione tributaria: la condanna al risarcimento da “lite temeraria” e la condanna ad una somma determinata secondo equità dal giudice.