Irap: autonoma organizzazione svincolata da parametri quantitativi
di Alessandro CarlesimoAi sensi dell’articolo 2 D.Lgs. 446/1997 il presupposto dell’Irap è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
La nozione di autonoma organizzazione è stata frequentemente oggetto di controversie all’esito delle quali sono state definite le condizioni oggettive che devono verificarsi affinché il requisito possa dirsi soddisfatto. Le dispute degli ultimi anni sono perlopiù incentrate sull’eventuale soggettività passiva di quelle categorie di contribuenti che, per caratteristiche intrinseche relative all’attività svolta, non si avvalgono di un apparato strumentale di mezzi e persone eccedente il minimo indispensabile.
Il riferimento è ai lavoratori autonomi che tendenzialmente non impiegano fattori produttivi se non per necessità essenziali strettamente connesse allo svolgimento la professione. È, ad esempio, il caso del medico che dispone di un ambulatorio ed al più, di una segretaria, oppure dell’avvocato con un collaboratore con mansioni esecutive.
Anche sotto il profilo civilistico, la libera professione si distingue dal fenomeno imprenditoriale per la presenza di un’organizzazione cd. minimale, costituita dal lavoro prevalentemente proprio (articolo 2222 cod. civ.). Tuttavia non mancano situazioni, per così dire, “border line”, in cui risulta dirimente individuare una soglia oltre la quale il requisito organizzativo assume rilevanza ai fini dell’imposta, e ciò tenuto conto sia del capitale fisico (beni strumentali), sia della componente lavoro (collaboratori).
In una recente pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n. 6439/2018), viene confermato che l’accertamento del suddetto requisito non può basarsi sul mero riscontro dei dati economico-reddituali dichiarati dal professionista. Nel giudizio in esame la Corte ha accolto il ricorso del contribuente ribaltando la decisione della CTR che, invece, riconosceva la debenza dell’Irap a seguito dell’accertamento di redditi e di costi elevati. Gli Ermellini hanno affermato che “l’entità del reddito prodotto non può costituire elemento decisivo che possa di per sé integrare il presupposto per l’applicazione dell’IRAP” e che nella sentenza impugnata non era stata adeguatamente valutata “la natura dei costi in relazione all’entità dei compensi percepiti”, considerato che il professionista non impiegava direttamente beni strumentali o dipendenti e percepiva compensi esclusivamente da un network internazionale in cui era inserito.
Questo intervento Giurisprudenziale si aggiunge ad un filone interpretativo in via di consolidamento (cfr. Cass. n. 29863/2017, Cass. n. 17199/2017, Cass. n. 6673/2017) secondo il quale la verifica della sussistenza dell’organizzazione eccedente il minimo indispensabile va condotta valutando, caso per caso, la natura degli acquisti sostenuti dal contribuente, senza soffermarsi al dato quantitativo.
Nel caso in commento infatti era chiaro che gli elevati redditi riscontrati erano ottenuti senza alcun ricorso ad un’organizzazione coordinata del contribuente, il quale non si avvaleva né di collaboratori, né di beni strumentali significativi. Del pari, l’analisi dei costi non lasciava presumere il mantenimento di una struttura organizzativa funzionale al potenziamento dell’attività produttiva del professionista.
La decisione in verità ricalca quanto stabilito in precedenza dalla Suprema Corte nella sentenza n. 9451/2016. In quell’occasione venivano dettati criteri per l’individuazione del limite oltre il quale l’organizzazione non è considerabile minimale, chiarendo che ciò accade, a prescindere da indicatori economico reddituali, quando congiuntamente:
- il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
- il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id pleromque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.
I limiti sopra indicati poggiano sui principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156/2001, in cui viene chiarito che il presupposto impositivo dell’Irap è rappresentato dall’attitudine dell’unità produttiva a generare valore aggiunto, da intendersi quale nuova ricchezza che viene, mediante l’Irap, assoggettata ad imposizione prima ancora di essere distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione. Ne consegue quindi che il prelievo colpisce gli autonomi che adottino un apparato strumentale in grado di fornire un apporto apprezzabile in termini creazione di valore addizionale rispetto al contributo personale fornito dal titolare dell’attività.
A rilevare è quindi, il nesso tra la produzione generata e le risorse attinte per realizzarla, e non l’entità dei compensi percepiti o dei costi sostenuti.
Ciò esposto, è possibile dedurre che la verifica del requisito organizzativo debba essere calibrata in funzione delle variabili proprie del settore economico in cui opera il professionista allo scopo di appurare la presenza di una struttura in grado di rendere più efficace e produttiva l’attività.