26 Gennaio 2017

IRI inutilizzabile senza una puntuale disciplina per la fuoriuscita

di Fabio Garrini
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La legge di Bilancio 2017 ha introdotto l’IRI quale regime che permette a società di persone e ditte individuali la tassazione proporzionale del reddito prodotto: l’imposta al 24% non riguarda comunque le somme prelevate dal socio / imprenditore. Detti prelevamenti costituiscono componente deducibile dall’IRI e somma assoggettata ad IRPEF in capo al soggetto che ha prelevato la somma.

Il problema sorge al momento della fuoriuscita (o comunque quando vengono effettuati prelevamenti consistenti di utili pregressi), ove i prelevamenti che dovessero avvenire finirebbero per realizzare un possibile rischio di doppio prelievo.

Prelevamenti, perdite e fuoriuscita

Il neo introdotto articolo 55-bis Tuir, al comma 2, prevede che:

  • le perdite maturate nei periodi d’imposta di applicazione dell’IRI (per risultati negativi di gestione ovvero per prelevamenti deducibili eccedenti l’utile di periodo) sono computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per l’intero importo che trova capienza in essi;
  • le perdite non ancora utilizzate al momento di fuoriuscita dal regime IRI sono computabili in diminuzione dai redditi dei futuri periodi d’imposta (tali perdite residue si considerano conseguite nell’ultimo anno di permanenza nel  regime). Per le SNC e SAS le perdite sono imputate a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

La norma pertanto regolamenta l’effetto perdite in caso di fuoriuscita, ma si tratta di una gestione che risulta del tutto insoddisfacente. Vediamo il perché.

La tassazione IRI è una tassazione agevolata temporanea: il reddito d’impresa sconta infatti l’aliquota del 24% per la parte non prelevata, mentre le somme prelevate si tramutano in redditi IRPEF in capo al socio / titolare, quindi con aliquote progressive.

In base al comma 1 tali prelevamenti sono deducili dalla base imponibile IRI nel periodo d’imposta in cui avviene il prelevamento: infatti, se tale somma viene attratta all’IRPEF, la conseguente deducibilità IRI permette di recuperare il 24% pagato, recupero che appunto avviene tramite la riduzione della base imponibile IRI dell’anno di prelevamento. Vi è una sorta di restituzione dell’IRI pagata su quelle somme, attesa l’applicazione ad esse dell’IRPEF. In quel momento viene meno il vantaggio del sistema IRI.

L’IRI, nei fatti, è un vantaggio finanziario legato al periodo in cui le somme non sono ancora state prelevate.

Il sistema applicativo dell’agevolazione finisce però per incepparsi quando si realizza la fuoriuscita dal regime agevolato: il comma 3 stabilisce la deducibilità di dette somme dal reddito maturato successivamente, posto che detti redditi effettivamente vi siano.

Si pensi ad una caso semplice: contribuente che ogni anno realizza € 100.000 di reddito e ne preleva € 50.000. Conseguentemente, in ciascuno di questi 10 anni, € 50.000 vengono assoggettati ad IRI (€ 100.000 dedotti i prelevamenti per € 50.000) e 50.000 assoggettati ad IRPEF (ossia i prelevamenti nel limite del plafond IRI).

Dopo 10 anni ho € 500.000 di plafond IRI (somme non prelevate già assoggettate ad IRI). Nell’undicesimo anno non conseguo reddito ma prelevo € 500.000 di riserve IRI accumulate (ipotizziamo che sia l’ultimo anno di esercizio dell’attività): in questo anno avrò una perdita IRI di 500.000 e un reddito IRPEF di 500.000.

È di tutta evidenza come questi 500.000, a tale momento, hanno scontato un doppio prelievo: durante i 10 anni di vigenza del regime, sulle somme accantonate e non prelevate avrò versato 120.000 di sostitutiva IRI e, nell’undicesimo anno, tali somme prelevate si tramuteranno in reddito d’impresa da assoggettare ad IRPEF.

Il comma 1 dell’articolo 55-bis, rende deducili tali somme generando una perdita di € 500.000, perdita che per il successivo comma 2 sarà deducibile negli anni successivi.

È evidente che tale soluzione è ragionevole solo nel caso di futuri redditi dai quali scomputare la perdita (comunque con il problema che vi è stato un anticipo di tassazione), mentre in assenza di redditi futuri la doppia tassazione resta acquisita.

In definitiva, se lo scopo dell’IRI è quello di agevolare temporaneamente il reddito d’impresa non prelevato sino alla fuoriuscita delle somme, in modo tale che a consuntivo i redditi prodotti e prelevati avranno scontato solo IRPEF, il meccanismo appare del tutto insoddisfacente.

Questo sistema rischia di far venir meno ogni interesse per l’applicazione dell’IRI; una soluzione potrebbe essere quella di attribuire, a seguito del prelevamento, un credito d’imposta pari alla sostitutiva versata. Ciò permetterebbe di rendere del tutto neutrale, a consuntivo, l’applicazione del regime.

Soluzione che però allo stato attuale non è ancora codificata.

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