Iscrizione all’anagrafe: presunzione relativa out con un solo criterio alternativo
di Angelo GinexIl D.Lgs. 209/2023 ha introdotto importanti modifiche in tema di residenza fiscale delle persone fisiche, di cui all’articolo 2, Tuir.
Nello specifico, ai sensi del novellato comma 2, dell’articolo 2, Tuir, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):
- hanno la residenza, ai sensi del codice civile, nel territorio dello Stato;
- hanno il domicilio, nella definizione resa dal citato articolo 2, comma 2, Tuir, nel territorio dello Stato;
- sono presenti nel territorio dello Stato, tenuto conto anche delle frazioni di giorno;
- sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente.
Con specifico riferimento a quest’ultimo criterio di radicamento della residenza fiscale, occorre sottolineare che l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, secondo la disciplina previgente (applicabile sino al 31.12.2023), configurava una presunzione legale di carattere “assoluto”.
Questo comportava che, laddove il contribuente avesse mantenuto (seppur inconsapevolmente) l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, era considerato a tutti gli effetti un soggetto fiscalmente residente in Italia e non aveva alcuna possibilità di dimostrare il contrario (ad esempio, l’assenza di dimora abituale o domicilio nel territorio dello Stato).
Era comunque fatta salva l’applicazione di eventuali accordi internazionali, alla stregua dei quali il dato formale dell’iscrizione anagrafica poteva essere superato mediante l’applicazione delle c.d. tie breaker rules dettate da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il Paese di volta in volta interessato.
Con un apprezzabile intervento legislativo ad opera della citata novella, invece, la valenza presuntiva di tale criterio è stata mitigata a favore di un approccio sostanziale. Detto in altri termini, si è avuto il passaggio da una presunzione di carattere assoluto ad una presunzione di carattere “relativo”, per cui il contribuente ha ora la possibilità di dimostrare che il dato formale è disatteso da una differente situazione fattuale.
Nello specifico, a decorrere dall’1.1.2024, le persone iscritte nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta continuano sempre ad essere considerate fiscalmente residenti in Italia. Tuttavia, essi hanno la possibilità di dimostrare che l’iscrizione anagrafica non corrisponde ad una residenza effettiva nello Stato italiano.
Sul punto, è opportuno evidenziare che l’Agenzia delle entrate, con circolare n. 20/E/2024, ha chiarito che il contribuente deve essere in grado di provare, sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili, che per la maggior parte del periodo d’imposta non si sia configurato nessuno dei criteri alternativi – diversi da quello anagrafico – previsti dall’articolo 2, comma 2, Tuir.
Questo significa che il contribuente, qualora volesse “superare” la presunzione relativa di residenza fiscale in Italia, è tenuto a provare che, per la maggior parte del periodo di imposta, non ha avuto in Italia né la residenza civilistica, né il domicilio, né tantomeno è stato presente fisicamente nel territorio dello Stato; a tal fine, non essendo possibile la prova di un fatto negativo, potrebbe essere utile il certificato di residenza all’estero, elementi che sono prova dell’intrattenimento di relazioni personali e familiari all’estero, la frequenza di circoli ricreativi all’estero, ecc.
È importante ribadire che, secondo il ragionamento dell’Amministrazione finanziaria, laddove si configurasse anche uno solo dei criteri alternativi diversi da quello anagrafico, la presunzione relativa di residenza fiscale in Italia derivante dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente non sarebbe superata.
Passando al comma dell’articolo 3, Tuir, è agevole riscontrare come sia rimasta invariata la presunzione relativa di residenza in Italia per i cittadini italiani che si trasferiscono in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, anche a seguito di cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente.
Trattandosi di presunzione relativa, è sempre ammessa la prova contraria da parte del contribuente. Anche su questo tema si segnala che l’Agenzia delle entrate, con circolare n. 20/E/2024, ha ribadito quanto già chiarito con circolare n. 140/1999, e cioè che: “soltanto la piena dimostrazione, da parte del contribuente, della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel paese fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall’assolvimento nello stesso paese di obblighi fiscali, attestano il venire meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente legittimità della posizione di non residente”.
Si ritiene che tali chiarimenti continueranno ad essere causa di un ampio ricorso al contenzioso, soprattutto nel caso in cui l’amministrazione continui ad avere un approccio rigoroso.
Infine, si rammenta che la lista dei Paesi interessati da tale presunzione è stata aggiornata con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 20.7.2023, il quale ha eliminato la Svizzera dall’elenco con efficacia dall’1.1.2024.