Ispezioni tributarie: regole per il reperimento di materiale probatorio
di Angelo GinexIn materia di verifica fiscale, l’acquisizione degli elementi utili alla rettifica del reddito dichiarato dal contribuente (ad esempio, registri, documenti, scritture, libri, etc.) può avvenire attraverso la spontanea esibizione da parte degli stessi oppure tramite il loro materiale reperimento.
Evidentemente l’intento dei verificatori fiscali è quello di procedere alla loro ispezione e verificazione, al fine di individuare prove di evasione a carico del contribuente.
In via generale si rammenta che, ai sensi dell’articolo 32 D.P.R. 600/1973, la documentazione non esibita a seguito di richiesta dell’Amministrazione finanziaria durante la verifica fiscale, non può essere utilizzata né in fase amministrativa, né in sede contenziosa.
Al riguardo, tuttavia, la Corte di Cassazione ha precisato che, se il termine concesso al contribuente per la produzione di documenti ai sensi dell’articolo 32 D.P.R. 600/1973 viene prorogato su accordo delle parti, i documenti prodotti entro tale nuovo termine sono pienamente utilizzabili nel processo tributario, senza alcuna necessità del rispetto delle indicazioni procedurali di cui al comma 5 della disposizione citata. E ciò a maggior ragione nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia inserito la documentazione all’interno della motivazione degli avvisi di accertamento, sia pure solo per svilirne il contenuto, pena la violazione dei princìpi di lealtà e di buona fede, oltre che di piena e leale collaborazione tra contribuente e fisco, presidiati dall’articolo 10 L. 212/2000 (cfr., Corte di Cassazione, sentenza n. 957 del 13.01.2023).
L’attività di ispezione è regolamentata da diverse disposizioni di legge in considerazione della tipologia di elemento verificato: in questa sede ci si limita ad affrontare il caso di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, nonché quello di server e pc.
Nel caso di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, ai sensi dell’articolo 52 D.P.R. 633/1972, i verificatori fiscali possono procedere all’apertura coattiva quando il contribuente si opponga a tale attività oppure intralci in qualche modo l’attività di indagine. È tuttavia richiesta la previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la quale rappresenta però una mera formalità non richiedendo la presenza dei gravi indizi di evasione.
Sul punto le Sezioni Unite (cfr., SS.UU., sentenza n. 3182 del 02.02.2022), a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 10664/2021, hanno affermato che: «In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di Iva dall’articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972, necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 33 D.P.R. 600/1973, è richiesta soltanto nel caso di apertura coattiva e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente, senza che ai fini della valida espressione di tale consenso sia necessario che il contribuente sia stato informato della sussistenza di una previsione di legge che, in caso di sua opposizione, consente l’apertura coattiva solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non rinvenendosi un obbligo in tal senso né nell’articolo 52 D.P.R. 633/1972, né nell’articolo 12, comma 2, L. 212/2000».
Nel secondo caso, concernente i server e pc, è possibile rinvenire non solo e non tanto la contabilità ufficiale dell’impresa, quanto piuttosto un’eventuale contabilità parallela.
Anche in questo caso occorre fare riferimento all’articolo 52 D.P.R. 633/1972, il quale legittima l’estrazione di copia dei documenti presenti nelle “apparecchiature informatiche installate” nei locali oggetto di controllo sui supporti degli stessi verificatori fiscali, affinché questi ultimi possano successivamente riscontrarne il contenuto. Peraltro è noto che i verificatori, al momento stesso dell’accesso, accertano l’esistenza di computer portatili, chiavi USB, hard disk esterni, sempre al fine di copiarne il contenuto.
Anche la giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass., sentenza n. 21153 del 08.10.2021), in uno dei pochi interventi che si rinvengono in materia, ha precisato che: «non deve essere autorizzata dall’autorità giudiziaria, ai sensi dell’articolo 52, comma 3, D.P.R. 633/1972, l’estrazione, da parte degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria, di documenti informatici contenuti nei computer aziendali, trattandosi di operazione non equiparabile all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, e, come desumibile dai comma 7 e 9 del citato articolo 52, può essere effettuata, qualora sia impossibile, per ragioni contingenti, operare negli spazi aziendali per mancanza di mezzi adeguati, al di fuori dei locali aziendali senza che sia necessario procedere al previo sequestro dei computer, sempre che il contribuente non rifiuti di sottoscrivere (ovvero contesti) il verbale».
In ogni caso appare evidente come tale attività di ispezione ponga importanti questioni di riservatezza e tutela della sfera privata del contribuente.
Ed infatti nel caso delle e-mail la Guardia di Finanza, nella circolare 1/2018, ha invitato i verificatori a trattarle alla stregua di pieghi sigillati: pertanto, se già aperte e visionate dal destinatario, le e-mail sono direttamente acquisibili dai verificatori, mentre, se non ancora aperte, possono essere acquisite solo previa autorizzazione del P.M.
Sul punto è intervenuta anche la CEDU, con sentenza n. 24117/2008, ove si è affermato che trattasi di corrispondenza, per cui il controllo fiscale è consentito solo in presenza del contribuente interessato, mentre l’estrazione di copia è subordinata alla previa autorizzazione del giudice.
Evidentemente il tema è molto più ampio e meriterebbe un maggiore approfondimento, ma in questa sede è sufficiente sottolineare che potrebbe essere utile, se del caso, rilevare nel verbale giornaliero i fatti accaduti.