Iva applicata in eccesso: restituzione ad ampio spettro
di Alessandro CarlesimoIn una recente risposta ad interpello, l’Agenzia delle Entrate è tornata ad analizzare le condizioni necessarie affinchè il contribuente sia legittimato alla ripetizione dell’imposta versata in eccesso a seguito dell’errato trattamento iva delle operazioni attive.
La tematica viene in rilievo ogni qualvolta una determinata transazione è rappresentata in fattura applicando un’imposta superiore a quella effettivamente dovuta: nel sistema dell’Iva vige il principio di “cartolarità” in forza del quale il cedente/prestatore è tenuto a versare l’Iva esposta in fattura, a prescindere dal corretto regime ivi applicato.
Suddetto principio è trasfuso nell’articolo 21, comma 7 del Decreto Iva, nel quale si prevede inequivocabilmente che “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”, fatto salvo il caso in cui non l’abbia tempestivamente corretta o annullata ai sensi dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972.
In campo Iva, al di fuori della procedura di rettifica dell’imponibile ex articolo 26, l’istituto che può ristorare il contribuente in tali fattispecie è individuato all’articolo 30-ter D.P.R 633/1972, il quale enuncia l’azione generale di rimborso che conferisce la possibilità di domandare all’Erario la restituzione dell’imposta indebitamente assolta, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Lo strumento giuridico contemplato dalla norma ha carattere residuale ed eccezionale nel sistema dell’Iva ed opera qualora ricorrano condizioni oggettive che non consentano di esperire il rimedio di ordine generale, rappresentato dalla nota di variazione in diminuzione dell’imponibile.
Invero, il meccanismo di rimborso dell’imposta in esame può rappresentare, in taluni casi, l’unico strumento utile al recupero dell’iva erroneamente applicata in eccesso. Tale evenienza si palesa, ad esempio, laddove il contribuente adotti un regime di indetraibilità dell’Iva (condizione che rende inefficace il ricorso alle note di variazione) o, più comunemente, nei casi di impossibilità di emissione della nota di variazione per decorso del termine sancito dal comma 3 dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972. Il comma anzidetto prevede infatti che, nelle ipotesi di correzione delle inesattezze di fatturazione che comportano l’applicazione dell’Iva in misura superiore a quella effettiva, la diminuzione della base imponibile sia possibile entro un anno dall’effettuazione dell’operazione.
Entrando nel merito dell’istituto, la domanda di rimborso è accolta se:
- è presentata tempestivamente, ovvero nel termine di 24 mesi dal versamento dell’imposta di cui si chiede la ripetizione;
- si riferisce ad un’imposta versata in assenza di fenomeni fraudolenti;
- è eliminato il rischio di perdita di gettito fiscale.
Tale ultima condizione rispecchia la necessità di assicurare la neutralità del tributo ed è soddisfatta allorquando venga appurato che non sussiste il rischio che l’imposta erroneamente indicata in fattura sia (anche potenzialmente) oggetto di detrazione da parte del destinatario del documento (Corte di Cassazione, ordinanza n. 10974/2019; Corte di Cassazione, ordinanza n. 22963/2018).
Sul punto la Giurisprudenza si è espressa in modo molto preciso, stabilendo che nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni non imponibili, il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta versata se è esperito “l’accertamento che la fattura erroneamente emessa sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione, ovvero che l’Amministrazione finanziaria abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo – o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato – il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura” (Corte di Cassazione, ordinanza n. 20843/2020).
Le pronunce giurisprudenziali, inoltre, pur rimarcando che ai fini dell’esercizio dell’azione generale di rimborso, la procedura di variazione ex articolo 26 non è obbligatoria ma facoltativa, (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 14239/2017; Corte di Cassazione, n. 7330/2012) stabiliscono comunque che l’emissione della nota di variazione permette di evitare la procedura di accertamento.
Un ultimo tassello del mosaico è stato, da ultimo, aggiunto dalla risposta all’interpello n. 762/2021, nella quale viene chiarito che non è del tutto precluso l’accoglimento della domanda presentata all’indomani del termine annuale di emissione della nota di variazione ed entro il termine decadenziale di 24 mesi.
A questo proposito, nella vicenda prospettata dall’istante, l’Amministrazione si è espressa in senso favorevole sulla possibilità di domandare il rimborso dell’Iva erroneamente applicata in fatture risalenti al 2019, confluita nella liquidazione mensile del mese di novembre del medesimo anno.
Tale intervento mitiga l’impostazione più rigorosa tenuta nei precedenti documenti di prassi che, di converso, sembravano negare la possibilità di ripetizione dell’indebito oltre il termine annuale per l’esercizio del diritto alla detrazione stabilito all’articolo 26, comma 3, D.P.R. 633/1972. I precedenti documenti di prassi, di fatto, sembravano chiudere spiragli in tal senso sulla scorta del fatto che l’azione generale di rimborso non poteva essere utilizzata ordinariamente per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione, qualora tale termine fosse decorso per cause imputabili all’inerzia del soggetto passivo (risposte interpello n. 190/2019; 592/2020).