IVA sui servizi di stoccaggio dei beni in conto deposito in Italia
di Marco PeiroloNell’ambito dei rapporti con l’estero può accadere che la consociata residente in altro Paese membro invii la merce in conto deposito ad un’impresa italiana in attesa di essere trasportata/spedita al di fuori dell’Unione europea.
La proprietà dei beni resta, pertanto, del soggetto comunitario, il quale emetterà fattura nei confronti del proprio cliente extracomunitario.
Ipotizzando che l’impresa italiana provveda anche a curare le operazioni di imbarco dei beni da esportare, occorre individuare le modalità di fatturazione delle prestazioni di stoccaggio e di imbarco alla consociata non residente.
L’invio in Italia di beni in conto deposito costituisce un trasferimento a “se stessi”, che la normativa IVA considera assimilato ad una operazione intracomunitaria, detassata nel Paese di origine in quanto tassata nel Paese di destinazione, secondo lo stesso principio impositivo che caratterizza gli scambi intracomunitari di beni a titolo oneroso e con passaggio di proprietà.
Nella Direttiva n. 2006/112/CE, tale operazione è disciplinata dagli artt. 17, par. 1, e 21, corrispondenti – nella disciplina interna – agli artt. 38, comma 3, lett. b), e 41, comma 2, lett. c), del D.L. n. 331/1993.
In particolare, i beni di provenienza intracomunitaria, inviati in conto deposito in Italia, danno luogo ad un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n. 331/1993, che considera tale “la introduzione nel territorio dello Stato da parte o per conto di un soggetto passivo d’imposta di beni provenienti da altro Stato membro”; la norma prosegue stabilendo che “la disposizione si applica anche nel caso di destinazione nel territorio dello Stato, per finalità rientranti nell’esercizio dell’impresa, di beni provenienti da altra impresa esercitata dallo stesso soggetto in altro Stato membro”.
Come precisato dall’Amministrazione finanziaria, il citato art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n. 331/1993 “ha carattere cautelativo, in quanto assicura la possibilità di seguire le successive cessioni in Italia dei beni trasferiti (es. beni inviati per deposito o stoccaggio) ed evita, nell’ipotesi di beni di investimento, il verificarsi di localizzazioni di acquisti con riferimento ai diversi regimi di detrazione dell’imposta applicati negli Stati membri” (C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464, § 1.2).
Assodato che l’invio in Italia di beni in conto deposito dà luogo ad un acquisto intracomunitario, è giocoforza ritenere che il soggetto non residente deve identificarsi ai fini IVA nel territorio dello Stato, nella forma diretta (di cui all’art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972) o per mezzo della nomina di un rappresentante fiscale, per provvedere ai relativi adempimenti, tra cui anche quello di presentazione del modello INTRA 2-bis (circolare dell’Agenzia delle Entrate 21 giugno 2010, n. 36, Parte II, § 7, riferita però alle operazioni attive, anziché a quelle passive).
Si pone, a questo punto, il problema della fatturazione, da parte dell’impresa italiana, dei servizi di stoccaggio e di imbarco dei beni oggetto di successiva esportazione.
Riguardo al servizio di stoccaggio, è dato osservare che il magazzinaggio di merci con assegnazione di una parte specifica dell’immobile ad uso esclusivo del destinatario è considerato un servizio relativo ad un bene immobile, come tale territorialmente rilevante nel Paese in cui è ubicato l’immobile, secondo il criterio previsto, a prescindere dalla qualifica del committente (soggetto IVA o privato consumatore), dall’art. 47 della Direttiva n. 2006/112/CE, trasposto dall’art. 7-quater, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.
Fatta salva questa ipotesi, contemplata dall’art. 31-bis del Reg. UE n. 282/2011, aggiunto dal Reg. UE n. 1042/2013 in recepimento della sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C-155/12 del 27 giugno 2013 (RR Donnelley Global Turnkey Solutions Poland), il servizio di stoccaggio fornito dall’impresa italiana costituisce una prestazione di servizi “generica”, territorialmente rilevante nel Paese di stabilimento del committente, cioè della consociata non residente.
Di conseguenza, in quest’ultima ipotesi, la fattura deve essere emessa, senza addebito dell’IVA, direttamente nei confronti della consociata e non della sua partita IVA italiana, riportando la dicitura “inversione contabile” e l’eventuale indicazione della norma di riferimento (art. 21, comma 6-bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972). Tale operazione deve essere, inoltre, dichiarata nel modello INTRA 1-quater (circolare n. 36/E/2010, Parte I, § 1, cit.).
Considerazioni analoghe valgono per il servizio di imbarco, in quanto prestazione di servizi “generica”, non soggetta a IVA in Italia. Ai fini INTRASTAT, però, non è obbligatoria la presentazione dell’elenco riepilogativo se sul predetto servizio non è dovuta l’IVA nel Paese membro della consociata (art. 50, comma 6, del D.L. n. 331/1993 e art. 5, comma 4, del D.M. 22 febbraio 2010).
In Italia, il servizio di imbarco di beni in esportazione beneficia del regime di non imponibilità di cui all’art. 9, comma 1, n. 5), del D.P.R. n. 633/1972. È verosimile ritenere che lo stesso trattamento sia previsto nel Paese membro della consociata, dato che il servizio in esame è considerato esente da imposta ai sensi dell’art. 146, par. 1, lett. e), della Direttiva n. 2006/112/CE.
Sul punto, occorre tuttavia richiamare le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 43 del 6 agosto 2010 (§ 1).
Nell’ipotesi in cui il committente della prestazione sia stabilito in altro Stato membro, l’Agenzia ha precisato che “il prestatore italiano ha l’onere di accertare che la prestazione resa sia esente o non imponibile nel Paese del committente.
Si considera che il prestatore italiano abbia agito in buona fede nell’accertare che per la prestazione resa non sia dovuta l’imposta nello Stato membro del committente quando ha richiesto ed ottenuto una dichiarazione redatta dal medesimo committente in cui questi afferma che la prestazione è esente o non imponibile nel suo Paese di stabilimento. Tale dichiarazione può essere rilasciata una sola volta dal committente comunitario con riguardo a tutte le prestazioni della stessa specie da lui ricevute e rimane valida finché non mutano le caratteristiche del servizio reso o il trattamento fiscale previsto nello Stato del committente.
Il prestatore stabilito in Italia, in possesso della predetta dichiarazione, è legittimato a non includere la prestazione nell’elenco riepilogativo delle prestazioni rese ed, eventualmente, a non presentare tale elenco se presta esclusivamente servizi per i quali ha ottenuto la dichiarazione in commento.
Inoltre, in mancanza di tale dichiarazione, il contribuente è legittimato a non includere la prestazione nell’elenco riepilogativo solo se ha certezza, in base ad elementi di fatto obiettivi, che per la predetta prestazione non è dovuta l’imposta nello Stato membro del committente”.