Iva sulle prestazioni derivanti da accordi transattivi
di Roberto CurcuNel corso del corrente anno abbiamo assistito alla pubblicazione di una serie di risposte ad interpello che hanno avuto ad oggetto la disciplina Iva delle somme derivanti da accordi transattivi, che hanno fin da subito destato più di una perplessità; ci riferiamo, in particolare, alle risposte n. 145 del 3 marzo 2021, n. 179 del 16 marzo 2021, n. 212 del 26 marzo 2021, n. 356 del 26 marzo 2021 e n. 401 del 10 giugno 2021.
In tali risposte ad interpello, l’Agenzia delle Entrate ha ravvisato, sempre e comunque, l’esistenza di prestazioni di servizi imponibili in presenza di transazioni.
In particolare, l’Amministrazione considera di fatto esistente una prestazione di servizi nell’obbligo di fare o non fare che è insito nell’accordo transattivo, e cioè quello di non proseguire azioni contenziose già avviate o a non iniziare nuove azioni contenziose.
L’orientamento espresso nelle risposte del 2021, peraltro, rinnega quanto la stessa Agenzia delle Entrate aveva precisato solo due anni prima, con le risposte n. 178 del 3 giugno 2019 e n. 387 del 20 settembre 2019.
Nella risposta n. 178/2019, ad esempio, l’Agenzia non aveva ravvisato in re ipsa l’esistenza nella transazione di una obbligazione di fare o non fare da assoggettare ad Iva, ma aveva precisato che “al fine di stabilire il trattamento fiscale della transazione, è necessario effettuare una valutazione caso per caso al fine di individuare, mediante l’analisi degli elementi sottostanti la vicenda negoziale, la specifica volontà delle parti”.
Premesso che una transazione può essere “dichiarativa” oppure “novativa”, è chiaro che la stessa può prevedere o meno il nascere di nuove obbligazioni tra le parti, e le stesse possono o meno essere soggette ad Iva; ad esempio, se in un accordo con durata determinata, la transazione dovesse stabilire che le parti si accordano, dietro corrispettivo, per una interruzione anticipata degli effetti del contratto, è evidente che il corrispettivo pattuito sarebbe il contraltare di una assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, con contestuale assoggettamento ad Iva della somma; viceversa, qualora la transazione abbia ad oggetto solo la determinazione di un danno subito da una delle due controparti, l’oggetto della transazione sarebbe l’individuazione della somma avente carattere risarcitorio e come tale fuori dal campo di applicazione dell’Iva.
Sul punto, il fatto che nella transazione, spesso come clausola di stile, si inserisca la preclusione delle parti ad iniziare o proseguire azioni contenziose sulla stessa materia, è un semplice ed ovvio effetto dell’accordo, e non costituisce il suo oggetto, con la conseguenza che la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate nelle risposte ad interpello del 2021 non risulta condivisibile; secondo tali risposte, infatti, l’inserimento di tale formula di chiusura nella transazione porterebbe ad un naturale assoggettamento ad Iva delle somme pattuite in sede transattiva.
Tale ultimo orientamento manifestato dall’Agenzia delle Entrate sta creando dei problemi a molte imprese, le quali non sanno se aderire allo stesso ed assoggettare in ogni caso ad Iva gli importi derivanti dalla transazione, oppure aderire agli orientamenti dottrinali maggioritari e valutare la casistica caso per caso; la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione è altalenante, in quanto a fronte di sentenze che prevedono solo in determinati casi nella transazione l’obbligo di assoggettamento ad Iva (sentenza n. 18764 del 23.06.2014) o comunque che qualificano le somme erogate a fronte della transazione non necessariamente riconducibili all’assunzione di obblighi di fare o non fare (ordinanza n. 20316 del 15.07.2021), troviamo la sentenza n. 23668 del 01.10.2018 che considera soggette ad Iva le reciproche rinunce ai crediti che due parti vantavano una nei confronti dell’altra e l’impegno ad estinguere i giudizi pendenti.
In questa situazione di incertezza, Assonime ha pubblicato ieri la propria circolare numero n. 26, con la quale ha manifestato tutte le proprie perplessità riguardo all’orientamento che sta assumendo l’Agenzia delle Entrate.
Tra le articolate ed approfondite argomentazioni, Assonime evidenzia che “la disciplina dell’Iva non può avere l’effetto di creare artificiosamente delle prestazioni di servizi, ma deve necessariamente restare ancorata ai beni e ai servizi che per loro natura sono suscettibili di uno scambio e, quindi, di entrare nella catena produttiva e distributiva dei beni e dei servizi da assoggettare all’imposizione sui consumi”.
La stessa Corte di Giustizia Europea, nelle sentenze C-384/95 e C-215/94, ha evidenziato che nonostante l’ampiezza del concetto di prestazione di servizi rilevante ai fini Iva, è comunque necessario che l’operazione si concretizzi in un servizio “consumabile”, e cioè che esista un consumatore o un vantaggio che possa considerarsi un elemento costitutivo del corrispettivo dovuto dal soggetto di una attività commerciale.
Anche volendo aderire alla tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale deve essere assoggettato ad Iva il corrispettivo pagato perché una delle due parti rinunci a proseguire o iniziare azioni contenzione, vi sarebbe comunque una controprestazione, da parte di colui che riceve tale somma e rinuncia a proprie pretese; in sostanza, vi sarebbe una permuta tra prestazioni di servizi, per le quali sarebbe impossibile determinare la base imponibile, ossia il “valore normale” delle stesse.
Detto ciò, Assonime evidenzia che, con tale orientamento, l’istituto della transazione diverrebbe antieconomico (per lo meno in presenza di soggetti senza diritto alla detrazione), con la conseguenza che si perderebbe la neutralità di effetti fiscali tra la sentenza e la transazione, a favore della prima. In tale senso, sarebbe auspicabile “che la questione fosse riconsiderata e trattata in un documento di prassi esaustivo e di portata generale”.