La buona fede nell’applicazione del regime speciale del margine
di Marco PeiroloCome si desume ancora una volta dalla recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 21105 del 12 settembre 2017), le disposizioni che disciplinano gli acquisti intracomunitari da parte degli operatori economici vanno coordinate con quelle relative al regime del margine, previsto per i rivenditori di beni usati.
L’articolo 37, comma 2, del D.L. 41/1995, nel regolare i rapporti di scambio dei beni d’occasione con acquirenti di altri Stati membri, stabilisce che le relative operazioni, effettuate con l’applicazione del regime speciale, non hanno natura intracomunitaria, sicché devono essere assoggettate ad imposta nello Stato del cedente, a prescindere peraltro dallo status del cessionario (soggetto IVA o privato consumatore). In modo esattamente speculare, gli acquisti di beni usati effettuati dai soggetti italiani, per i quali l’imposta è applicata nello Stato membro di provenienza in base al regime del margine, non rivestono carattere intracomunitario neppure nell’ipotesi in cui il cessionario nazionale operi nell’esercizio di un’attività economica e ciò, come indicato dalla circolare 40/E/2003, al fine specifico “di evitare una doppia imposizione su beni usati il cui acquisto da parte del rivenditore avviene sulla base di un prezzo già comprensivo di IVA, che non è possibile detrarre in quanto non autonomamente evidenziata”.
A fronte, pertanto, di un’operazione che nello Stato di origine non dà comunque luogo all’esposizione dell’IVA in fattura, sia perché qualificata come cessione intracomunitaria, sia perché assoggettata al regime del margine, in sede di successiva rivendita dei beni usati l’operatore italiano può applicare il regime speciale nel solo caso in cui, a monte, il cedente si sia avvalso del medesimo regime, che risulta però meno conveniente dal punto di vista economico rispetto al regime proprio degli scambi intracomunitari di beni, basato sull’imposizione “a destino” con la procedura di inversione contabile.
Da ciò deriva, come sottolineato dall’Agenzia delle Entrate nel richiamato documento di prassi, “che, in caso di acquisto di autoveicoli usati da parte di soggetto IVA nazionale, presso un operatore di altro Stato membro, è necessario verificare preliminarmente se il cedente comunitario, che comunque emette fattura senza esposizione dell’imposta, abbia effettuato una cessione con utilizzo del sistema del margine o, piuttosto, abbia realizzato una vera e propria cessione intracomunitaria. Infatti, mentre nel primo caso il corrispettivo è già comprensivo di IVA, nell’ipotesi di cessione intracomunitaria l’imposta non risulta applicata in quanto il bene deve assolvere l’IVA nel Paese di destinazione, imponendo al cessionario italiano l’adempimento degli obblighi previsti dagli articolo 46 e seguenti del D.L. 331 del 1993 (integrazione della fattura di acquisto, registrazione della stessa, ecc.)”.
Nella sentenza Litdana (causa C-624/15 del 18 maggio 2017), la Corte di giustizia ha affermato che le autorità fiscali di uno Stato membro non possono negare “a un soggetto passivo, che abbia ricevuto una fattura sulla quale vi sia menzione tanto del regime del margine quanto dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA), il diritto di applicare il regime del margine, anche qualora da una successiva verifica effettuata da dette autorità emerga che il soggetto passivo-rivenditore, fornitore dei beni d’occasione, non aveva effettivamente applicato detto regime alla cessione dei beni di cui trattasi, a meno che le autorità competenti non dimostrino che il soggetto passivo non ha agito in buona fede o che non ha adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in un’evasione tributaria, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
Tale principio conferma la linea interpretativa dell’Agenzia delle Entrate, tenuto conto che la circolare 40/2003, dopo avere specificato che, “per le cessioni effettuate con il «regime del margine» è opportuno che la fattura emessa dal cedente comunitario riporti la specifica annotazione che trattasi di operazioni soggette a detto regime”, ha puntualizzato che, “tuttavia, la specificazione in fattura che la transazione è stata effettuata con applicazione del «regime del margine», non esime l’acquirente da responsabilità qualora in base ad elementi oggettivi, si possa desumere che il cedente comunitario non poteva utilizzare il regime speciale in argomento”.
In merito ai profili di responsabilità in capo al cessionario nazionale in caso di applicazione del regime speciale in assenza dei presupposti, sono intervenute, da ultimo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21105/2017.
Nel caso di specie, il giudice a quo ha ritenuto sufficiente, in ordine all’individuazione dell’ambito e dell’estensione dell’onere della prova e dei connessi doveri di diligenza gravanti sul contribuente che intenda fruire di tale particolare, e più favorevole, trattamento fiscale, l’indicazione, nei libretti di circolazione degli autoveicoli e nelle fatture emesse dal cedente non residente, della circostanza che i beni erano già stati assoggettati al regime del margine, escludendo ulteriori obblighi investigativi a carico del cessionario nazionale. Di contro, l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto la tesi secondo cui l’onere di verifica del cessionario non si arresta ai rapporti tra sé e il diretto “dante causa”, ma la sua diligenza ben può, e anzi deve, andare oltre, in presenza di elementi significativi di “allarme”, idonei a far sospettare l’inattendibilità della predetta annotazione e l’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione; elementi nella fattispecie consistenti nel fatto che dagli stessi libretti di circolazione sarebbe risultato che i veicoli provenivano da società di autonoleggio o di leasing che li avevano utilizzati come beni d’impresa, con possibilità, dunque, di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti.
Investita della questione, le Sezioni Unite, in linea con il consolidato orientamento della Suprema Corte (sent. 24 luglio 2015, n. 15630 e sent. 9 novembre 2014, n. 24604), ha affermato che “il contribuente-cessionario deve dimostrare la propria buona fede, intesa come comprensiva sia dell’assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscriveva nel contesto di un’evasione dell’IVA, sia dell’uso della necessaria diligenza, ossia di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da parte di un operatore accorto, al fine di assicurarsi che una tale evenienza dovesse escludersi”.
A questo riguardo, è stato ritenuto che rientra “nell’ambito delle precauzioni che si possono senz’altro richiedere ad un cessionario di veicoli d’occasione l’esame della «storia» del veicolo, quanto meno – che è quel che interessa – con riferimento all’individuazione dei precedenti intestatari del mezzo, risultanti dalla carta di circolazione, documento in possesso dell’acquirente in quanto indispensabile ai fini del perfezionamento dell’operazione.
E può dirsi quindi altrettanto agevole, senza che ciò comporti, di regola, la pretesa di oneri investigativi inesigibili, accertare la qualità di tali intestatari, e anteriori cedenti, cioè verificare, eventualmente mediante l’acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento, se essi siano, o meno, soggetti legittimati ad esercitare, nel caso di specie, il diritto di detrazione dell’IVA: e mentre nell’ipotesi negativa è evidente che il bene è pervenuto al consumo finale, con conseguente applicabilità del regime del margine, nel caso opposto è ragionevole presumere il contrario, quando risulti che il soggetto compie professionalmente operazioni nell’ambito del mercato dei veicoli, svolgendo l’attività di rivendita, di noleggio o di leasing, e il quale, pertanto, in base al criterio di regolarità causale, detrae l’imposta pagata per l’acquisto del bene destinato all’esercizio dell’attività propria dell’impresa”.