27 Aprile 2023

La cancellazione dei crediti e le conseguenze fiscali

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

La gestione contabile e fiscale delle perdite su crediti o della valutazione (rectius, svalutazione) degli stessi è uno degli aspetti più importanti e allo stesso tempo più delicati delle operazioni che vengono eseguite in sede di chiusura del bilancio di esercizio e di determinazione del reddito imponibile.

Il redattore del bilancio si trova spesso in una situazione caratterizzata da sollecitazioni opposte: da una parte il desiderio di presentare un risultato di esercizio lusinghiero e dall’altra l’obbligo di non trascurare i problemi legati alla sopravvenuta inesigibilità di poste creditorie.

Questa tema pone dei problemi in fase valutativa, quindi legati ad una eventuale svalutazione dei crediti, mentre non ci sono questioni da dirimere laddove il credito vada cancellato dall’attivo attivo patrimoniale quale conseguenza di fatti concreti.

Infatti la eventuale omissione di questi ultimi si tradurrebbe nella redazione di un bilancio non veritiero.

Il documento OIC 15, al paragrafo 71 afferma, in modo inequivocabile, quanto segue: “la società cancella i crediti ……quando a) i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono (parzialmente o totalmente); oppure b) la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito”.

In tali situazioni il redattore del bilancio non ha alcuna possibile scelta: deve rilevare la perdita alla voce B 14 del conto economico, tenendo presente che il successivo paragrafo 72 si preoccupa di elencare le fattispecie che determinano tali situazioni.

“I diritti contrattuali si estinguono per pagamento, prescrizione, transazione, rinuncia al credito, rettifiche di fatturazione e ogni altro evento che fa venire meno il diritto ad esigere determinati ammontari di disponibilità liquide, o beni/servizi di valore equivalente, da clienti o da altri soggetti”.

Vale la pena sottolineare che tra gli eventi che comportano la cancellazione del credito vi è anche la prescrizione, fattispecie che in realtà non determina l’estinzione del diritto contrattuale sul flusso finanziario, bensì l’affievolimento della efficacia della azione riscossiva del creditore, fermo restando che se il debitore pagasse il debito anche dopo l’intervenuta prescrizione si avrebbe un normale adempimento della obbligazione.

La stessa cosa non si può dire nel caso in cui il debitore pagasse il debito dopo che il creditore lo abbia rimesso: in quest’ultimo caso il pagamento sarebbe errato ed il debitore avrebbe diritto ad ottenere la restituzione di quanto versato.

In questo contesto, nel quale l’estinzione del credito obbliga il redattore del bilancio a rilevare la perdita, il legislatore fiscale prende atto di tali obblighi civilistici, riconoscendo la deducibilità fiscale della perdita quando essa è motivata dall’azzeramento del credito in ottemperanza a corretti principi contabili, ex articolo 101, comma 5, ultimo periodo del Tuir.

Alla luce di queste premesse desta molte perplessità una recente pronuncia della Corte di Cassazione, n. 31611 del 25.10.2022.

Il caso è quello di un credito vantato verso un soggetto che si dà per certo non avrebbe adempiuto alla obbligazione di pagamento.

Nelle argomentazioni difensive proposte dal contribuente si pone l’accento sul fatto che ormai era prossima la prescrizione e questo elemento, in concorso con la quasi certezza dell’impossibile incasso, aveva indotto il creditore a rinunziare al credito.

La difesa del contribuente viene impostata sulla sussistenza, tra gli elementi che legittimano la deduzione della perdita su crediti, della prescrizione, a dimostrare che il legislatore, oltre agli elementi certi e precisi che attestano l’insolvenza del debitore, comprende anche altri elementi che permettono di dedurre la perdita.

La Corte di Cassazione con la sentenza citata, ha buon gioco nel sostenere che l’assimilazione tra la prescrizione del credito e rinunzia volontaria è quantomeno forzata affermando che:

Lo stesso (motivo di difesa n.d.r) è sostanzialmente imperniato sulla considerazione dell’equiparazione della rinuncia volontaria del credito alle ipotesi di prescrizione dello stesso, per inferirne la possibilità di dedurne l’importo. È ovvio però che tale conclusione appare quantomeno semplicistica. In effetti il principio a cui si ispira il regime fiscale della detraibilità degli importi dei crediti inesigibili è ispirato all’oggettività di tale condizione.”

Fin qui nulla da eccepire. Vi è però un passaggio del tutto omesso, o comunque non messo giustamente in risalto dalla Suprema Corte, cioè il tema della legittima deduzione della perdita su credito laddove il credito sia stato cancellato in applicazione dei principi contabili, cioè l’ultimo periodo dell’articolo 101, comma 5, Tuir.

La Corte dimostra di conoscere questo inciso che viene più volte citato quale legittima condizione di deducibilità della perdita, ma poi non lo riconosce quale evento esistente nel caso oggetto del giudizio.

In modo letterale riportiamo un passaggio tratto dalle motivazioni della sentenza che afferma:

Ne deriva che, pur essendo quello del credito prescritto un’ipotesi di perdita definitiva dello stesso, l’equiparare ai fini fiscali a tale ipotesi quella della rinuncia volontaria significa obliterare tutto il resto della disciplina riportata. Infatti basterebbe a un creditore rinunciare volontariamente ad un credito che teme non verrà adempiuto, per vanificare la condizione, prevista dal legislatore, che il debitore sia assoggettato a procedura concorsuale, o le altre condizioni previste in caso di debiti di modesta entità, ed infine la possibilità di cancellare i crediti solo in applicazione dei principi contabili.

Ma, come poc’anzi detto, se si verifica il testo del principio contabile OIC 15 in materia di crediti, e, più precisamente, i passaggi dedicati all’obbligo di cancellazione del credito dall’attivo patrimoniale non si può non notare che la rinunzia al credito costituisce uno dei fatti posti alla base della estinzione del credito.

Da ciò emerge con chiarezza che la rinunzia al credito rientra tra i fatti che estinguono il diritto ad incassare i flussi finanziari, e da qui la conseguenza obbligatoria per il redattore del bilancio, cioè la cancellazione del credito.

Dalla avvenuta cancellazione si dovrebbe semplicemente prendere atto che si manifestano le condizioni per dedurre la perdita così come attesta il citato articolo 101, comma 5, Tuir.

Nulla di tutto ciò emerge nelle considerazioni della Cassazione e tale omissione risulta veramente incomprensibile.

Un conto è contestare da parte della Agenzia delle Entrate un comportamento antieconomico del contribuente che porti ad un accertamento induttivo, altro è contestare la deducibilità della perdita senza considerare minimamente la circostanza che la rinunzia volontaria determina la cancellazione obbligatoria del credito da cui, automaticamente, si genera la deducibilità della stessa perdita.