29 Novembre 2019

La caparra penitenziale non costituisce plusvalenza tassabile

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Con l’ordinanza n. 27129 del 23.10.2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che sulla caparra penitenziale il promittente venditore non paga l’Irpef se il contratto definitivo di compravendita dell’immobile salta per il recesso del promissario acquirente: non sussisterebbe, infatti, alcuna plusvalenza tassabile, perché l’atto definitivo di vendita non viene stipulato e la somma incamerata dal primo costituisce soltanto il corrispettivo per l’esercizio del diritto di recesso da parte del secondo; la caparra penitenziale, d’altronde, non ha funzione risarcitoria e non sostituisce alcun reddito perduto del quale condividere la natura.

La vicenda traeva origine dalla promessa di vendita di due terreni, aventi destinazione agricola, senza che si addivenisse alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento, avendo il promittente acquirente esercitato il diritto di recesso, che aveva legittimato il promittente venditore ad incassare la somma già versata del suddetto importo a titolo di caparra penitenziale.

Secondo l’Agenzia delle entrate si sarebbe trattato di una plusvalenza tassabile e quindi aveva emesso il relativo avviso di accertamento ai fini Irpef; l’atto era impugnato dal contribuente ma il ricorso era respinto in primo grado con sentenza confermata in appello.

Avverso la sentenza della CTR il contribuente proponeva ricorso per cassazione, denunciando, in primo luogo, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 67, lett. a) e b), Tuir, nella parte in cui la sentenza aveva ritenuto che nella fattispecie in esame si fosse determinata una plusvalenza tassabile, sebbene:

  1. non vi fosse stata cessione dei terreni, non avendo avuto seguito, con la stipula dell’atto definitivo di trasferimento, il preliminare di vendita dei terreni;
  2. i succitati fondi avessero natura agricola, certificata dalla documentazione prodotta in atti.

Con il secondo motivo il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 6, comma 2, Tuir, in ragione del fatto che, prevedendo tale norma che “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti“, la CTR avrebbe dovuto considerare che l’incameramento da parte del promittente venditore della caparra penitenziale quale corrispettivo del recesso del promittente acquirente – privo peraltro di natura risarcitoria – non poteva porsi come sostitutivo di alcun reddito, non potendosi ritenere sussistente, sulla base delle precedenti considerazioni, alcuna plusvalenza assoggettabile a tassazione.

La Cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi, evidenziando come, da una parte, la stessa sentenza impugnata non aveva messo in dubbio la destinazione agricola dei terreni, ma assumeva che ciò che bastava a configurare l’esistenza di plusvalenza tassabile era quella secondo cui “possa essere già operata in partenza la lottizzazione“, assumendo nella norma in esame “rilevanza l’aspetto speculativo e la realizzazione di un beneficio monetario che scaturisce dall’operazione commerciale“.

Secondo la Cassazione, la sentenza impugnata ometteva di considerare che nella fattispecie in esame non vi era stata alcuna vendita dei terreni, non essendo stato stipulato l’atto definitivo di vendita ed ipotizzava in modo del tutto arbitrario l’esistenza di una lottizzazione, di cui però non erano indicati gli estremi, quantomeno sul piano cartolare.

Inoltre, osservava la Corte che nella fattispecie non si era realizzata alcuna cessione a titolo oneroso, essendo il preliminare riferito alla promessa di vendita di terreni di natura agricola, esulandosi quindi dall’ambito della nozione di area edificabile di cui all’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006, per cui, ai fini della classificazione di un terreno come fabbricabile, occorre che si tratti di suolo la cui vocazione edificatoria sia stata formalizzata in uno strumento urbanistico, quantunque non ancora approvato.

Infine, non essendovi plusvalenza tassabile, secondo la Cassazione era conseguentemente esclusa anche la possibilità di attribuire all’importo trattenuto dal promittente venditore, come caparra penitenziale per effetto dell’esercizio del diritto di recesso della società promittente acquirente, natura di “provento conseguito in sostituzione di reddito“, nella specie plusvalenza, quale reddito diverso, assoggettabile a tassazione.

Di conseguenza la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal contribuente cassando con rinvio la sentenza impugnata.

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