17 Gennaio 2019

La cartella di pagamento deve essere adeguatamente motivata

di Luigi Ferrajoli
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L’articolo 3 L. 241/1990 prevede espressamente che: ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.

Ciò posto, la cartella esattoriale, non preceduta dalla notifica dell’avviso di accertamento, deve contenere un’adeguata motivazione della pretesa erariale, in modo di permettere al contribuente di verificarne la fondatezza; in difetto si ha una lesione del diritto di difesa del contribuente.

La giurisprudenza si è soffermata in numerose occasioni su questi aspetti.

Tra le altre, giova richiamare l’ordinanza n. 31270 del 04.12.2018 della Corte di Cassazione, con la quale è stato affrontato il caso di una società che aveva impugnato una cartella di pagamento riportante l’iscrizione a ruolo di “interessi di sospensione per il periodo dal 14.6.2003 all’8.5.2007, a seguito di revoca della sospensione nr. (OMISSIS) del 12.3.2004” e di “interessi di sospensione per il periodo dal 13.6.2006 al 27.4.2007 a seguito di revoca della sospensione numero (OMISSIS) del 14.11.2006”.

Nel ricorso veniva affermato che l’atto non era sufficientemente motivato perché in esso non vi era cenno a quali cartelle erano state sospese, ai tipi di tributo, alle annualità ed al criterio di calcolo seguito per la quantificazione degli interessi. Oltretutto, una delle due sospensioni non era mai stata notificata.

A seguito di rigetto del ricorso da parte della CTP adita, la contribuente proponeva appello, accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che annullava la cartella impugnata, rilevando che i criteri di ordine generale indicati dalla L. 241/1990 e dalla L. 212/2000 dovevano ritenersi applicabili anche alla cartella di pagamento, in cui dovevano essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano determinato l’iscrizione a ruolo.

Nel caso de quo l’atto, che conteneva solo l’indicazione degli estremi di provvedimenti di sospensione ad esso non allegati, né precedentemente comunicati o notificati alla contribuente, non aveva posto la società nella condizione di individuare i tributi, descritti in modo generico, che si assumevano non pagati e in relazione ai quali l’ufficio pretendeva il pagamento degli accessori.

L’Ente impositore proponeva dunque ricorso per Cassazione, sostenendo che la cartella debba contenere l’intimazione del pagamento e la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo.

L’obbligo di motivazione dell’atto doveva dunque ritenersi assolto attraverso l’indicazione dei tributi dovuti dalla contribuente, del periodo di imposta, dell’imponibile e dell’aliquota applicata.

Ulteriormente, il ricorrente deduceva che, anche nell’ipotesi di sanzionabilità dell’omesso invio di una previa comunicazione di irregolarità, tale strumento riveste la funzione di informare il contribuente circa l’esistenza di un’anomalia emersa in sede di liquidazione della dichiarazione annuale, consentendo al medesimo di ottenere l’abbattimento ad un terzo delle sanzioni in caso di pagamento entro trenta giorni dalla notifica. Da ciò deriverebbe che l’eventuale omissione potrebbe, nella peggiore delle ipotesi, riverberare i suoi effetti sulla sanzione, senza tuttavia inficiare la regolarità e l’efficacia dell’atto impositivo.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il primo motivo, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui la cartella esattoriale, non preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo “congruo, sufficiente ed intellegibile”, obbligo derivante dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’articolo 3 L. 241/1990, come recepiti, per la materia tributaria, dall’articolo 7 L.  212/2000 (Cass. Civ. n. 9799/2017 e n. 26330/2009).

Nel caso in esame, la cartella, allegata all’atto di impugnazione da parte della ricorrente, riportava la mera indicazione dei provvedimenti di sospensione adottati, dei quali uno non era stato neppure comunicato alla contribuente, e dell’ammontare degli interessi, senza alcuna specificazione del tasso applicato e delle somme sui quali essi erano stati calcolati, suddivise tra imposte dirette, imposte indirette, addizionali regionali ed Irap.

La CTR dunque aveva correttamente affermato che la genericità di dette indicazioni non consentiva alla società di verificare la fondatezza, sia nell’an sia nel quantum, della pretesa impositiva dedotta nella cartella, impedendo dunque alla medesima di poter pienamente esercitare il proprio diritto di difesa.

Posto che tale vizio era da considerarsi “originario” dell’atto, risultava conseguentemente idoneo a determinarne l’invalidità, a nulla rilevando che l’Ufficio avesse esplicitato, in sede di controdeduzioni, quali fossero i tributi cui erano riferiti i provvedimenti di sospensione.

La Corte di Cassazione ha parimenti rigettato il secondo motivo di impugnazione, dichiarandone l’inammissibilità in quanto censurante una ratio decidendi non rinvenibile nella sentenza impugnata.

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