La Cassazione conferma il no al raddoppio dei termini all’Irap
di Luigi FerrajoliCon l’ordinanza n. 1425 del 19.01.2018, la Corte di Cassazione ha ribadito che, non essendo l’Irap un’imposta per la quale sono previste sanzioni penali, è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento prevista, per i periodi di imposta sino al 2015, dall’articolo 57, commi 1 e 2, D.P.R. 633/1972 e dall’articolo 43, commi 1 e 2, D.P.R. 600/1973, nella versione antecedente alle modifiche apportate dall’articolo 1, commi 130 e 131, L. 208/2015.
Secondo la Corte di Cassazione, l‘inapplicabilità di tale termine lungo all’Irap discende dal mancato inserimento delle violazioni relative all’imposta regionale tra le ipotesi delittuose previste dal D.Lgs. 74/2000, testo che ricomprende in modo espresso solamente i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: la disciplina penale tributaria risulta pertanto non applicabile all’Irap, in quanto le violazioni riferibili a tale imposta non sono idonee a porre in essere fatti penalmente rilevanti. Una diversa interpretazione si pone in contrasto con il divieto di analogia, ai sensi di quanto espressamente previsto dall’articolo 25, comma 2, Costituzione.
Secondo la Corte di Cassazione, tale interpretazione risulterebbe peraltro condivisa dalla stessa Amministrazione finanziaria, che nella circolare AdE 154/E/2000, ha precisato che sono escluse dalla fattispecie criminosa le dichiarazioni ai fini Irap e che nel caso in cui la dichiarazione sia presentata in forma unificata, acquistano rilievo (penale) solamente le violazioni in materia di imposte dirette e Iva.
La pronuncia in esame ribadisce un orientamento già consolidato della Suprema Corte: sul punto si segnalano, da ultimo, le ordinanze n. 20435/2017, n. 4775/2016, n. 26311/2017 e n. 23629/2017.
In particolare, con l’ordinanza n. 20435/2017 la Corte di Cassazione, oltre a precisare che per l’Irap non deve ritenersi applicabile la disciplina sul raddoppio dei termini, ha avuto modo di richiamare le ultime novità legislative, ovvero:
- il D.Lgs. 128/2015, che ha ristretto le ipotesi di operatività del predetto istituto ai soli casi in cui la denuncia penale viene trasmessa entro il termine ordinario di decadenza dell’accertamento,
- la 208/2015 che ha definitivamente abrogato il regime del raddoppio dei termini, modificando l’articolo 57 D.P.R. 633/1972 e l’articolo 43 D.P.R. 600/1973.
In particolare, la Suprema Corte ha precisato che “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43 per l’Irpef e D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 57 per l’Iva, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, articolo 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, articolo 2, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Sez. 5, Sentenza n. 16728 del 09/08/2016, Rv. 640966 – 01)”.